Violenza sulle Donne. Giornata mondiale per riflettere sul femminicidio. “Stasera parlo Io” al Centro studi Feliciano Rossitto. Azione teatrale che “buca” l’animo
Ragusa, 24 novembre 2018 – Luce soffusa ammantata di giallo che è simbolo della luce del sole, ma anche di energia. Un’energia che forse non c’è più. Un’energia soffocata dalla brutalità. Un termine, quest’ultimo, che è declinato al femminile e che, oggigiorno, è alla ribalta delle cronache per le disumane violenze subite dalle Donne. L’obiettivo della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è rivolto a sensibilizzare l’opinione pubblica sul bisogno di crescita civile della comunità, puntando a mettere al bando ogni tipo di violenza. Nell’ambito di tali riflessioni il Centro studi Feliciano Rossitto di Ragusa ha promosso ed organizzato una serata in cui il teatro, nella sua liturgica finzione scenica, possa raccontare in un modo diverso le esistenze delle donne che hanno subìto atti di violenza.
A questo ci hanno pensato Alessandro Sparacino e Angelo Abela (rispettivamente regista e ideatore della serata) che - raccogliendo le tristi vicende di donne il cui grido è stato soffocato per sempre e traendo notevoli spunti dall’opera di Serena Dandini “Ferite a morte” - si sono posti la domanda: “E se le vittime, le Donne che non ci sono più, potessero parlare?”. Un quesito, di notevole valenza simbolica, da fare riecheggiare tra il pubblico che, presso la sala del Centro Rossitto, ha assistito ad un’azione teatrale a dir poco inusuale ed avvincente. Tredici le attrici e tredici i gruppi in cui sono stati suddivisi gli spettatori che, riuniti in cerchio, hanno ospitato a turno le bravissime attrici che si sono alternate nel corso della loro “seduta” teatrale. Ogni attrice rappresenta una Donna che racconta la sua triste ed amara esperienza:
“Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti”.
“E’ più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago che una donna manager entri in un consiglio di amministrazione, ma io ce l’ho fatta. Non è stata una passeggiata … Questa piega amara sulla fronte, per esempio prima non ce l’avevo …”.
“Allora questa è del cancello, questa del portoncino blindato, no questa è del garage… Se cambio la serratura ha detto che m’ammazza, dice che è anche casa sua, solo perché ci ha abitato… ma se cambio la serratura ora m’ammazza. La cambio? non la cambio? ... E io non l’ho cambiata, così è entrato di notte tranquillo con le sue chiavi e mi ha strangolata mentre dormivo”.
Uno, due, tre, mille incipit. Ma tutti hanno un comune denominatore: sono racconti di Donne.
Donne violate nella loro anima.
Donne profanate e violate nella loro dignità di esseri umani, ancor prima di essere Donne.
Donne con il loro doloroso sguardo, talora incantevole, talaltra ingenuo, ma tutte protagoniste che non ci sono più, cristallizzate in un momento cruciale della loro esistenza che adesso non è.
E’ proprio da qui che parte l’idea di Alessandro Sparacino e di Angelo Abela cioè quello di dare voce a chi non l’ha avuta, di rendere protagoniste quelle donne che non ne hanno avuta la possibilità ma che adesso sono libere, almeno da morte, e raccontare la loro versione dei fatti. E lo fanno in una veste quasi riservata, rivivendo in una dimensione quasi parallela allo spettatore che rimane accanto all’attrice, come in un piccolo salotto. Le attrici fanno rivivere - in una sorta di “racconto” quasi confidenziale, attraverso rappresentazioni icastiche, dolenti, a volte amare ed ironiche - gli attimi fatali della loro vita. Si trovano come dinanzi ad uno specchio da cui si ri-vedono e ri-considerano. La recitazione, a volte pacata, a volte ansimante, è caratterizzata da registri diversi. Attraverso le attrici le Donne violate confessano la loro solitudine nel portare addosso un fardello di dolore molto grande e che, non di rado, rimane inascoltato. E’ questo il caleidoscopico viaggio teatrale che lambisce molto la realtà. Una recita che “buca” l’animo dello spettatore e che va in profondità sfiorando intime dimensioni.
Poi c’è lo sguardo. Gli occhi dell’attrice e quelli del pubblico si incrociano, talora si sfiorano senza toccarsi. E’ proprio qui che i ruoli, tra osservante (spettatore) e osservato (attrice), a volte si invertono. Si può avanzare l’ipotesi che, all’origine tanto dell’antropologia quanto del teatro, ci siano un “Io” e un “Altro” e la relazione degli sguardi che li lega. E, in entrambi i casi, la direzione primaria dello sguardo, e con essa quindi la direzione primaria fra osservante e osservato, è raddoppiata da una direzione opposta che inverte i ruoli, trasformando l’osservante in osservato, e viceversa.
Lo spettacolo, della durata di circa un’ora, scorre in maniera fluida anche se, ad ogni tratto, fa sussultare l’animo. Quando si accendono le luci e cala l’immaginario sipario, forse ci si sente un po’ diversi ed è inevitabile riflettere su quanto si è appena visto.
Usciti dalla sala non si può non chiedersi perché accadano certe cose.
Giuseppe Nativo