- Argomento: Poesia
Ragusa. Scompare Umberto Migliorisi, fine poeta ibleo. Un ricordo del poeta e critico letterario Federico Guastella
Ragusa, 1 maggio 2020 – Nell’àmbito della complessa attività culturale di Umberto Migliorisi, impegnato nello studio sistematico di poeti iblei quali Giuseppe Bonafede e Vann’Antò, per citare appena due nomi, oltre che nell’indagine su autori siciliani (Mario Gori, Santo Calì, Ignazio Buttitta), la sua produzione poetica, che non manca di ottenere puntualmente il meritato consenso della critica, occupa certamente una posizione centrale.
Le prime pubblicazioni in dialetto ragusano, che risalgono a tempi ricchi di fermenti, preannunciano il poeta in lingua. In tale direzione, cinque volumetti (Riassunto, ed. dell’Autore, Ragusa 1970; La gioia delusa, Utopia ed., Chiaramonte Gulfi 1989, con prefazione di Mario Grasso; Sotto le nuvole, utopia ed., Chiaramonte Gulfi 1991; Come poeti gli uccelli, prefazione di E. Schembari, Libro Italiano, Ragusa 1997; L’ironia, Ed. Utopia e Centro Studi F. Rossitto, prefazione di Nunzio Zago, Ragusa 2006) rivelano il suo procedimento, di cui senza pretese vorremmo parlare, tentando di accostarci alla silloge Ironia e altro che, edita dalla casa editrice Antonello da Messina (giugno 2007), raggruppa, oltre ad alcuni inediti, il meglio dei numerosi componimenti compresi tra il 1956 e il 2006. Testimoniano questi suoi lavori, elaborati in un lontano lembo di territorio isolano, un succoso itinerario che abbraccia mezzo secolo di storia, l’operosità feconda e ininterrotta d’un poeta dal temperamento appartato e schivo che non ha conosciuto il torpore (è noto, peraltro, che Migliorisi da molti anni ha svolto l’attività di redattore capo della rivista trimestrale di cultura e politica edita dal centro studi “Feliciano Rossetto” di Ragusa). La riflessione sulla vita gli viene dalle private vicende di uomo e dalla meditazione laica dei fatti e degli eventi.
La prefazione di Andrea Guastella, quanto mai preziosa nel volgere l’attenzione alla progressività del mezzo espressivo da Riassunto, raccolta d’esordio (1953-1970), a L’ironia (2006), indica una presenza significativa all’inizio almeno del percorso intrapreso dal nostro poeta. Quella di Giuseppe Zagarrio, in cui la visione etica del mondo, coniugandosi con l’analisi delle negatività, si manifesta fra riflessione esistenziale e protesta sociale. E, fra le intrinseche presenze sulla traiettoria del poeta di Ragusa, si potrebbero ricordare anche Ungaretti e Quasimodo, dalle cui liriche si ricava che la poesia, quando è tale, oltre a cogliere nelle cose e nell’autobiografia la quota di solidale universalità, scioglie la contestazione nell’invenzione della metafora. I caratteri costitutivi della poetica di Migliorisi sono facilmente riconoscibili. Nei suoi versi, estranei al compiacimento estetico, restano inconfondibili la chiarezza morale e la spontaneità linguistica che si alimentano di una quotidianità dai reperti lacerati, nonché uno stile epigrafico dall’asciutto linguaggio. Emblematico è il testo d’apertura Mio padre che assume il valore simbolico di un’aspirazione in cui, sprigionandosi dalle radici, scorrono autentiche pulsioni evocative.
Mio padre era di campagna
e sulle labbra
gli fiorivano parole
come fili d’erba
- tra i basolati bianchi
della città, nel sole
Oltre alla presenza contadina, nel dopoguerra si consolida la realtà dei minatori. La toccante poesia Miniere, che piacque a Franco Fortini, mostra la fatica del lavoro d’una gente che possedeva soltanto le mani (“Le rocce hanno una mano / una grande mano stampata /con i calli, gli spacchi, e le dita / trapunte dal gelo”). Era il periodo dell’emigrazione, d’un esodo imposto dalla durezza della realtà. Con la crisi della modernità franano, poi, idealità, speranze, sogni. La Storia disperde le sue categorie e appare chiusa in se stessa senza possibilità alcuna di riscatto, mentre si vanno affermando la massificazione e l’inadempienza, il disimpegno e la rimozione dei sensi di colpa (“Quel che importa / in conclusione è / non provarla / quella rabbia: / la rabbia della / ribellione!”). Ora che lo scenario è segnato dalla crisi, sempre più indecifrabile, del futuro che fa nascere nuovi profittatori (“Sei nato in una mela. // Sei nato come un verme nella mela / della letteratura”), l’io poetico non si lascia irretire nel chiuso narcisistico, nella propria superba cittadella. L’ironia, cui il libro deve in parte il titolo, finisce con l’attraversare tutta la poesia di Migliorisi, risolvendo l’insidia del realismo in una relazione significante-significato, dove s’insinua una vena epigrammatica che dà alla sua voce una nota peculiare. È tale carattere a consentirgli di posare uno sguardo amaro e beffardo sulle cose, di sottrarsi ad ogni forma di cupezza e di nichilismo come, del resto, appare nei componimenti Il poeta e Monsignore, La scuola, La maestra urla o Lezione di storia, in cui il discreto sorriso è stuzzicato da una schietta e graffiante ludicità.
Sui suoi versi incide molto la pacatezza, un vigile controllo formale, l’essenzialità compositiva nel rappresentare il rapporto con il tempo (Primavera romana), l’attenzione alla fugacità della gioia (Il cappello di mio padre), la condizione della solitudine (Preghiera), il rapporto bio-culturale con la propria terra espresso nei nuclei larici della memoria (Pasqua di mezzanotte). Il suo è sempre un atteggiamento di tenera pensosità senza finzioni letterarie. Una presenza concreta esibita a cuore aperto sul male del vivere, sulle difficoltà dell’esistenza, lo caratterizza con una sincera volontà di sfatare luoghi comuni (Le zampogne). L’intrecciarsi di sollecitazioni private e sociali porta in primo piano ne La tua faccia come metafora il ritratto letterario di Leonardo Sciascia, i cui occhi asciutti e severi e pazienti, tali da sembrare due carabinieri alla corte di giustizia, esprimono, in un rapporto tra il detto e il non detto, la geografia d’un paese frantumato:
Osservo la tua faccia, Leonardo, il tuo sguardo
amaro e dico:”Questa, per me,
è la carta geografica della Sicilia:
ossia della mia, della tua, della nostra vita!”
Un testo significativo, questo, non soltanto per l’autenticità della passione civile resa manifesta dal turbamento e da una rivolta dolente dal tono sommesso ancorché incisivo, ma anche per le metafore folgoranti tratte dalla comunicazione con la realtà. L’esperienza interiore si esercita sul sensibile, si accresce grazie al contatto della parola con le cose. Sono gli oggetti, le piccole cose del più minuscolo universo fenomenico, che il poeta traduce in una specie di linguaggio figurativo per mettere in rilievo, senza affettazione alcuna e con tanta naturalezza, la genuinità di modi di sentire e di essere. C’è anche, nella fusione dell’etica con l’estetico, la pausa contemplativa, testimonianza d’un sommerso lirismo dell’anima. Il verso, come leggiamo nella poesia dal titolo Cielo di gioia delusa, fluisce lentamente. E’ elegante la sua connotazione intrisa di delicata leggerezza, timbrata dalla nitidezza dell’immagine su cui agisce un abbandono malinconico di seducente musicalità, una misurata inquietudine che nasce probabilmente dall’esigenza non gridata di trasparenza sociale, privata, nel contempo, di risposte adeguate.
Quel cielo azzurro lavato
che sfuma nella nebbia di questa
mattina d’inverno
pare che
abbia freddo lassù
nel suo letargo.
Stringe il cuore a guardarlo
cielo di gioia delusa
L’efficacia dei versi è in gran parte dovuta alla loro alla loro scarnificata organizzazione aliena da pirotecniche astuzie tecniche, al composto e mai ingenuo rimpianto per ciò che risulta cancellato dagli inevitabili mutamenti, a una forte adesione alla vita che si impone su ogni limite, su ogni disincanto, a pungenti temi per fissare ora un senso d’impotenza sulle contraddizioni e crudeltà di questo nostro tempo ora per parlare al cuore con indignazione sentitamente vera. Il lettore non potrà non apprezzare, traendone motivi di meditazione, il tono di limpido colloquio interiore, di comunicazione con la realtà e con se stesso da cui discende una sofferta saggezza alimentata da stimoli introspettivi che assumono un respiro universale nel labirinto socio-esistenziale. Lungi dall’essere consolatorio, l’esito è quello d’uno scacco profondo.
Dell’insuccesso derivante dal naufragio sociale, dal mancato scuotimento della coscienza collettiva intorpidita dall’indifferenza (Toponomastica), dal “sonno del silenzio” sempre in agguato (Il crepuscolo degli uccelli). Né lascia spazi alla comunicazione un mondo che disperde il senso dell’io nella diffidenza monadale riconducibile all’assenza della parola come frantumazione del rapporto tra l’io e il tu (Il silenzio nel viaggio). Anche se a consuntivo i conti non tornano per la persistente lacerazione tra utopia e realtà, tra essere e dover essere, non c’è resa, rassegnazione o fuga dalle cose. La tensione alla comprensione della sorte degli uomini è sempre viva nella poetica di Migliorisi che non ha smarrito il senso dell’eppure resistenziale (di Roversi, di Maniscalchi, di Zagarrio). Le ragioni della responsabilità della poesia civile restano da lui affidate, senza la benché minima presunzione, all’ironia. Ironia come contestazione di se stessi e dissacrazione del potere e dei potenti: la misura sicuramente più completa, più provocatoria, più umana di esprimere, senza inutili recriminazioni ideologiche o dannose verbosità moralistiche, il dissenso sui mali che ci affliggono. Per non essere costretti a subirli, soprattutto. Anche per questo, forse, la sua poesia è fascinosa idealità profondamente vissuta nel reale.
Federico Guastella