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  • Argomento: Storia

Due anni dopo l’inizio del Novecento il paesaggio ibleo veniva colpito da violenti acquazzoni. Se a Ragusa furono travolte le umili e fatiscenti casette, a Modica l’alluvione, anche se di breve durata, causò danni gravissimi che devastarono la fisionomia della parte bassa della città e provocarono centodieci vittime. Luttuosa la calamità verificatasi nella notte tra il 25 e il 26 settembre 1902: l’acqua dei due torrenti (S. Francesco e S. Maria) esondarono fino a coprire le strade e il pianterreno delle abitazioni per oltre 1 metro e in qualche punto fino a 6 metri.

 

Ai primi del’900, a Ragusa cominciava ad avere una certa consistenza la classe operaia. Non mancarono fermenti tali da mettere in moto anche l’economia rurale col sostegno delle Banche. Ne sorsero tre. È del 1902 la costituzione della Banca Agricola Cooperativa; del 1904 la Banca Agricola Commerciale e del 1910 la Banca Agricola Commerciale “La Popolare” di Ragusa Inferiore. Nel 1907 il foglio locale “Vita e pensiero”, diretto da Francesco De Stefano, a più riprese sollecitava l’amministrazione comunale ad assumere provvedimenti atti a realizzare, unitamente al porto, un tratto ferroviario che collegasse Ragusa con Mazzarelli: «L’accresciuto movimento delle merci nello scalo di Mazzarelli non poteva comunque non influire sullo sviluppo, anche urbano, della stessa frazione e non poteva non comportare un supplemento di attenzioni da parte delle amministrazioni comunali succedutesi nel ventennio che va dal 1900 al 1920»[1].

Quando nei mesi di agosto e settembre del 1907 il trentino Giovanni Lorenzoni, economista e sociologo agrario, giunse a Ragusa – una città di 32.000 abitanti - ne delineò le condizioni economiche che davano la fisionomia di una realtà in via di evoluzione: «Le miniere di asfalto, o meglio cave perché poco profonde e a cielo aperto, distano 4 chilometri dalla città; gli operai ogni giorno vanno e tornano. Sono occupati in esse 2000 picconieri ed altrettanti carusi; pagati tutti ad ora. Ma nessuno riesce a lavorare più di 10 ore, e in tal modo i picconieri guadagnato: da lire 1.70 a lire 2.10 al giorno ed i carusi da lire 0.50 a lire 0.70. I minatori guadagnano qualcosa di più in ragione del maggior pericolo cui sono soggetti ed invero lire 0.28 all’ora, in media lire 2.80 al giorno. Le miniere d’asfalto giovarono a sfollare un po' la mano d’opera rurale e farne aumentare, sebbene lievemente, i salari»[2]

Malgrado i bassi salari dei contadini e il sistema clientelare dell’attività politica e amministrativa, il territorio ragusano ebbe per quasi un ventennio un periodo di ripresa e di crescita, ampiamente descritto da Giuseppe Micciché[3].

Intanto i giovani in un clima di contagiosa euforia canticchiavano Tripoli, bel suol d’amore per una terra promessa non migliore delle zone più aride del Meridione. Dai porti di Napoli e di Palermo andavano a combattere nella guerra di Libia (1911-1912).

Iniziati i lavori nel ‘12, nel 1915 venne costruita la ferrovia a scartamento ridotto Siracusa-Vizzini-Ragusa, disattivata nel 1956: del tracciato rimane l’antica stazione di Pantalica.

Nel 1917 nacque l’ABCD (Asfalti, Bitumi, Combustibili Liquidi e Derivati) sostenuta dal Ministero dell’Industria e delle Corporazioni. Grazie alle notevoli capacità dell’amministratore delegato ing. Andrea La Porta furono introdotte innovazioni tecnico-scientifiche quale l’impianto di uno stabilimento per distillare l’olio grezzo direttamente dal calcare bituminoso, venduto in tutto il mondo grazie all’azione dei “forni gazogeni”, inventati dall’ingegnere De Bartolomeis.

Nel 1937, la costruzione del “Forno Roma” consentì l’estrazione dall’asfalto di una benzina adatta ai motori a scoppio senza che l’iniziativa ebbe un seguito a causa della guerra: «Quelli tra il 1918 ed il 1940 furono anni gloriosi per l’industria asfaltica ragusana (…). Anni di altissima produzione mineraria»[4].

Funesti quelli della Grande Guerra (1915-1918), che penalizzarono l’agricoltura per l’assenza di manodopera giovanile; lo scoppio del conflitto ebbe l’effetto immediato dello spopolamento delle campagne e dell’immiserimento delle famiglie operaie e contadine entro il crescente divario tra Nord e Sud.

Ad aggravare la situazione, già pesante per i morti e le privazioni causati dal primo conflitto mondiale, fu l’epidemia di influenza (“la spagnola”) abbattutasi nell’inverno 1918.

Alta l’incidenza di malati e decessi nel ragusano. Precaria e misera la condizione dei giornalieri che, soggetti a lunghi periodi di disoccupazione, percepivano salari bassissimi. Molti, tra cui i piccoli proprietari che furono costretti a vendere i loro piccoli poderi, intrapresero l’obbligata via dell’emigrazione.

Tristi le notizie dal fronte: morti, feriti, dispersi. Sono le donne di Ragusa Inferiore a condurre una manifestazione davanti al Municipio il 4 novembre 1917: in settecento protestano contro la guerra e per la mancanza di farina, chiedendo il ritorno dei propri mariti. Sulle cifre della Grande Guerra, conclusasi per l’Italia il 4 novembre 1918, ha fornito un resoconto dettagliato lo storico Giuseppe Barone nella già citata opera Gli Iblei nella grande guerra.

I caduti iblei sono molto più numerosi del dato ufficiale di 3.541. Con molta probabilità ci si può riferire a ad un numero di decessi intorno a 4.400. Ad essi occorre aggiungere le vittime dell’epidemia influenzale “spagnola” che in Italia toccarono la cifra impressionante di 500.000 circa, concentrate prevalentemente nelle regioni meridionali: in Sicilia nel solo anno 1918 si verificarono 30.000 decessi. Malgrado la mancanza di monografie sull’argomento, si possono con prudenza ipotizzare nel Circondario di Modica intorno ai 3.000 morti nel biennio. Gli statini settimanali dei decessi conservati nell’Archivio Storico del comune di Ragusa segnano dati impressionanti nell’inverno 1918-19, confermati dal Diario inedito di Paolo Orsi per Chiaramonte, Monterosso, Giarratana. Nel complesso i morti dell’area iblea ascenderebbero intorno alle 5/6.000 unità: cifra pressoché doppia rispetto alle statistiche ufficiali

698 furono i morti in guerra delle due Ragusa; oltre 102 decorati, tra cui il ventitreenne capitano di fanteria Giovanni Bocchieri con la medaglia d’oro[5]. Vennero conferiti 38 argenti, 45 bronzi, 18 croci di guerra.

Dal dramma si giunge alla momentanea “riappacificazione” tra le due sedicenti fazioni dei cosiddetti “sangiorgiari” e “sangiovannari”: in solenne processione, la sera del 4 novembre 1918, le statue di San Giovanni e San Giorgio congiuntamente attraversano le vie principali come segno di gratitudine per la fine delle ostilità, come ricordo delle vittime e speranza di una rinascita.

Il dopoguerra mostrò i conflitti sociali, resi aspri dalla disoccupazione agricola e industriale e dai bassi salari.

Il biennio 1919-21 fu di rappresaglie fasciste che davano alle fiamme le organizzazioni socialiste nel territorio ibleo. Si sparava sui lavoratori e le frequenti spedizioni punitive distruggevano i circoli socialisti e le camere del lavoro. Dagli sciagurati episodi i possidenti uscivano indenni mentre la via del calvario era attraversata da contadini e braccianti. La strage di Passo Gatta a Modica, compiuta il 29 maggio 1921 ad opera di nazionalisti e guardie regie che spararono su innocui lavoratori, fu l’epigono di una continua strategia della tensione, alimentata anche dai toni esageratamente aggressivi di certa sinistra intransigente. Forse da un patto di pacificazione si sarebbe potuto ottenere qualche beneficio. A Ragusa fu firmato da Giuseppe Lupis e da Giovanni Pluchino per la sezione socialista, da Salvatore Nifosì e Pietro Bertini per il fascio. Ma l'iniziativa non venne accolta in tutti i comuni sia dal movimento fascista più retrivo sia dai gruppi di matrice comunista e anarchica, i quali, assumendo come modello la rivoluzione bolscevica, si esprimevano con un linguaggio fortemente rivoluzionario che condannava il possesso della proprietà privata.

Prossima un’altra sciagura: sorgeva e si affermava il fascismo che ben presto nel ragusano esordirà con azioni dimostrative nelle campagne[6].

Ancor prima della Marcia su Roma (28 ottobre 1922), nel novembre 1919 Totò Giurato (Ragusa 9 giugno 1903 – Lima 26 agosto 1975), giovane ardito e legionario fiumano (“era scappato di casa per raggiungere D’Annunzio a Fiume”), sostenuto dall’amico Totò Guglielmo fondatore del fascio catanese, diciassettenne apre a Ibla la prima sede dei Fasci Italiani di Combattimento, il primo Fascio in tutta la Sicilia, assumendo la carica di segretario politico. Gli era compagno Totò Battaglia: entrambi già socialisti e considerati bolscevichi. L’11 giugno del ‘20 avveniva festosamente l’inaugurazione ufficiale e nella primavera del ‘22, presente Achille Starace, lì si radunavano le squadre d’azione del fascismo siciliano.

Non poteva mancare la voce di Mussolini che così telegrafò: «Giunga mio fraterno saluto adunata suprema Camicie nere Sicilia, avanguardia della riscossa meridionale. Tutte le strade conducono a Roma».

Marcello Saija nel contributo intitolato Filippo Pennavaria e il fascismo agrario di Ragusa (1914-1926) ha affermato: «Molto spesso l’azione militare sarà condotta soltanto da Totò Giurato, Totò Battaglia e Giuseppe Bertini, ma l’organizzazione dei fasci avrà dalla Banca popolare agricola cooperativa e dai soci agrari dell’Istituto i mezzi per potersi rafforzare ed espandere»[7].

I fasci non erano che il braccio armato di buona parte della borghesia e imprenditoria agricola impaurita dai toni violenti del movimento socialista massimalista. Totò Giurato e Totò Battaglia esaltavano D’Annunzio e amavano anche Rapisardi; tagliente la loro oratoria contro i dirigenti socialisti, identificando il fascismo con il fiumanesimo. Intorno a loro il movimento cresceva. Da Totò Giurato, Filippo Pennavaria, dopo aver sottolineato, il 5 novembre 1920, «le comuni idealità di una stessa fede e di una stessa volontà», in cambio riceveva la tessera di fascista ad honorem.

Da questo momento per lui iniziava l’ascesa, nonché l’egemonia sulle «forze sane della reazione antibolscevica».

Il 17 agosto del ’22 Ragusa ebbe il primo consiglio comunale fascista. Su proposta del podestà, dr. Salvatore Spadola, il 18 agosto 1927 si adottava la delibera n. 92 perché la borgata Mazzarelli cambiasse il nome “Ragusa Marina”: «Il sovrano, dopo avere acquisito le dovute proposte e pareri, con decreto n. 72 del 15 marzo 1928, dispose il cambiamento della denominazione della borgata Mazzarelli del Comune di Ragusa in Marina di Ragusa»[8].

Un nuovo quadro politico-amministrativo a tutela degli interessi agrari e borghesi emergeva sull’onda dello squadrismo ibleo simile a quello padano.

 

Federico Guastella

 

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[1] G. Veninata, Mazzarelli. Frammenti di storia dalle origini al 1928, edito a cura del Rotary International Club di Ragusa, Tip. ELLE DUE srl, Ragusa, 2008

[2] Viaggio a Ragusa. Antologia di testi e documenti (Saggi di Salvatore Stella – Silvana Raffaele – Rita Verdirame), C.U.E.C.M. Catania, 2002. 

[3] G. Micciché, Economia e sviluppo in terra iblea, Tip. Barone e Bella, Ragusa, 2014.

[4] “La provincia di Ragusa”, n. 3, giugno 1977, “Speciale inserto” con testi e foto di Cesare Zipelli e Saro Distefano

[5] A Meda di Piave il 15 giugno 1918 comandante di una compagnia di mitraglieri respingeva più volte l’assedio nemico “infiammando con atti di valore ed eroismo i suoi uomini”. Benché accerchiato, “presa una mitragliatrice e portatosi allo scoperto sull’argine del fiume mitragliava a bruciapelo il nemico e lo ricacciava, finché colpito al petto cade gloriosamente sull’arma”. Alcuni mesi prima era stato fregiato anche dell’argento, poiché con i suoi soldati mitraglieri a Fagarè di Piave fermava l’avanzata nemica, consentendo così dando alle truppe italiane di contrattaccare.

[6] Per l’approfondimento: L’area degli Iblei tra le due guerre, “Atti del Convegno Storico 1986”, Centro Studi “Feliciano Rossitto” Ragusa – Istituto Gramsci Siciliano Palermo, Tipolitografia Leggio & Diquattro, Ragusa, 1987.

[7] Ivi.

[8] G. Veninata, Mazzarelli, op. cit. Sull’etimologia di Mazzareddi / marsâ ‘arîdah (Porto ampio) e sull’origine antica (araba) del toponimo cfr. vari contributi di Salvo Micciché, tra cui il saggio su Academia al link (consultato il 12 maggio 2022)  https://www.academia.edu/34715303/Maulli_e_Mazzareɖɖi_Marina_di_Ragusa_perché_Marsa_ariḍah_sì_e_Marsa_Arillah_no, tratto da S. Micciché, Scicli: onomastica e toponomastica, Il Giornale di Scicli - Biancavela, 2017.

 

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