- Argomento: Storia
A Ragusa Superiore l’Associazione dei Combattenti veniva guidata dal suo fondatore Filippo Pennavaria[1], detto Pippo, il cui prestigio continuò a persistere dopo la caduta del regime[2].
Nazionalista, laureato in diritto costituzionale e amico di D’Annunzio, da reduce della Prima guerra mondiale con i segni decorativi sul petto, sostenne la classe borghese e dei massari; da giovane deputato rivolse attenzione alle miniere d’asfalto, nutrendo da buon regista un sogno: la fondazione di una nuova provincia avente Ragusa come capoluogo.
Malgrado il flusso migratorio verso gli Stati Uniti, nel 1921 la città raggiungeva la punta massima di 55.000 mila abitanti, di cui 44.239 nella parte superiore e 10.894 in quella inferiore. In quell’anno, il 9 aprile, Ragusa Superiore (Ragusa Nuova) fu duramente colpita dalla repressione. Così scrive Giuseppe Micciché: «...al termine di un breve discorso di Vacirca, che parlando davanti alla lega dei contadini aveva invitato i lavoratori a mantenersi calmi per non offrire pretesti agli avversari pur dopo le violenze e le provocazioni dei giorni precedenti, un gruppo di fascisti e di combattenti, presente il Pennavaria, spararono sulla massa, uccidendo i contadini Rosario Occhipinti, Rosario Gurrieri e Carmelo Vitale e ferendone 60»[3].
Pennavaria, che da astuto manovratore aveva messo da parte Totò Giurato e Totò Battaglia[4], realizzando attorno al fascismo l’alleanza della nobiltà e della borghesia di Ibla con il ceto dei massàri, poteva avviare il passo decisivo che già aveva preso corpo con la prima visita del Duce quando a Ragusa, il 12 maggio 1924, era giunto in automobile da Caltagirone per l’inaugurazione del Monumento ai Caduti, realizzato coi fondi ricavati da una raccolta e da una lotteria su iniziativa di cittadini influenti[5].
Turillo Sindoni (Barcellona Pozzo di Gotto 1868 - Roma 1941), si chiamava l’artista che eseguì l’opera posta accanto alla Cattedrale di San Giovanni. Sul grande palco, allestito davanti alla chiesa del Collegio di Maria, alla sinistra del duce Filippo Pennavaria con tante medaglie sul petto. Così risulta dalla foto scattata dal fotografo Giambattista Di Quattro, il cui studio era in via Addolorata n. 50, ora via Roma[6].
La situazione socioeconomica si era evoluta a favore della città in particolare per la ricchezza prodotta dalle miniere d’asfalto e per essere diventata una roccaforte fascista a discapito della presenza socialista. Pennavaria, tra i fedelissimi a Mussolini durante l’affaire di Matteotti, poteva così agire in un territorio politicamente a suo favore che aveva conosciuto soddisfacenti trasformazioni quali le fiorenti imprese di piccola e media proprietà, nonché la presenza di due stazioni ferroviarie con tre reti in grado di metterla in comunicazione con Siracusa, Catania e Caltanissetta-Palermo.
Deluse per una serie di motivi le aspettative dei calatini che avevano nutrito il desiderio di Caltagirone come nuova provincia, l’avvenire della città e le sue fortune erano ormai legate ad una riforma che stava per compiersi: il 26 Dicembre 1926 avvenne l’unificazione dei due Comuni voluta dall’alto per dare una maggiore consistenza demografica al territorio e già il primo gennaio 1926 il Consiglio dei Ministri aveva approvato il provvedimento per la costituzione del circondario di Ragusa ritagliato dal territorio di Siracusa, emanato il 6 gennaio. Il 2 gennaio 1927 fu varato il Regio Decreto-Legge n. 1, entrato in vigore il 12 gennaio dello stesso anno con il quale furono istituite 17 nuove Province, tra cui Ragusa, sede quindi di prefettura.
I primi anni ‘30 furono aurei per la rivalutazione del territorio con la realizzazione di imponenti opere pubbliche adeguate all’assetto della “provincia nuova”[7]. Ingente il flusso degli stanziamenti che privilegiò le città di Ragusa e di Comiso a discapito di Modica e di Vittoria considerate “rosse” e di fede antifascista.
Lo sviluppo edilizio e urbanistico ebbe un investimento enorme negli anni dal 1929 al 1932 e Ragusa divenne un cantiere di abitazioni, di strade (per esempio, quella “interna” di collegamento tra la Piazza Repubblica – “Archi” – e la via 24 Maggio alla fine del Corso Italia come a sancire la ritrovata unità tra le due Raguse: tra le mura bizantine e la città nuova), di scenari insoliti nella zona transpontina.
Il regime, oltre a quelli del luogo, si servì dei suoi migliori architetti, tra cui il professor Ugo Tarchi, dell’Accademia di Belle Arti di Roma che progettò il Palazzo del Governo, cioè della prefettura, e il Palazzo delle Scuole. Prese corpo la classe impiegatizia a favore della quale furono costruite le palazzine I.N.C.I.S (Istituto Nazionale Case Impiegati dello Stato).
Le annotazioni di Giorgio Flaccavento sono puntualmente particolareggiate:
Dal 1927 la città si allarga in modo considerevole, sino ad occidente, lungo la direttrice principale che porta a Comiso e a Vittoria e che ha il proprio asse nella strada Maestra (ora Corso Italia), sia soprattutto a sud, al di là della cava Santa Domenica, dove si era già formato l’aggregato urbano del quartiere dei Cappuccini. E ad ovest del ponte dei Cappuccini, secondo un piano regolatore redatto dall’arch. Francesco La Grassa, si getta il Ponte Nuovo (il Ponte del Littorio) che dà supporto sul quartiere Littorio, esattamente sulla Piazza Impero, oggi Libertà[8].
Fu la classe impiegatizia, borghese e piccolo borghese, a costituire la forza più solida nella città in cui furono potenziate le scuole insieme all’introduzione della pratica sportiva e alla realizzazione dell’Ospedale e Sanatorio “Benito Mussolini”. La realizzazione del Palazzo delle poste e Telegrafi, i cui lavori iniziarono nel 1927, avvenne nel 1938 su progetto di Angiolo Mazzoni Del Grande, sicuramente sostenuto da Ciano ministro delle Comunicazioni fino al 1934 e Filippo Pennavaria sottosegretario: a prescindere da valutazioni estetiche, imponente il prospetto che si affaccia sulla piazza; mostra nove colonne di bugnato rustico in calcare, ciascuna alla sommità reca una statua monumentale in travertino dal valore allegorico. Di probabile destinazione ad altri edifici sono le statue opere dello scultore Corrado Vigni, fiorentino, ed esse hanno dato luogo a diverse interpretazioni[9]. Accanto al palazzo il “Monumento ai Postelegrafonici”, caduti in guerra, reca le statue di un fante e di un marinaio, ciascuna dinanzi ad un catafalco di granito nero.
Interessante il racconto-testimonianza di Ottorino Gurrieri, giornalista, scrittore e storco ragusano che in una raccolta di fascicoli settimanali dal titolo "Le cento città d’Italia illustrate" descrisse la nuova provincia: se ne parla nel libro “Al di sopra delle Aquile - Ragusa, 2 gennaio 1927: retroscena e documenti inediti sulla nascita della Provincia” (2011), curato da Giuseppe Calabrese e Mario Nobile.
Se l’edilizia urbana, unitamente al settore delle infrastrutture (per esempio, la costruzione nel 1933 del ponte a 5 arcate sull’Ippari, in contrada Cappellares, e di quello sull’Irminio) si sviluppò in modo consistente, a soffrire la grande crisi degli anni Trenta fu la campagna. Anche gli effetti della “battaglia del grano” furono per molti aspetti negativi. Si ridussero gli agrumeti e soprattutto nella fascia costiera vennero estirpati i vigneti. In calo l’esportazione dei prodotti agricoli rispetto al 1928. Anche il settore industriale entrò in crisi: diminuì la produzione e il commercio del calcare bituminoso e di olio minerale; si ridusse il numero degli operai.
A fosche tinte la fisionomia delineata da Giuseppe Micciché: «Della crisi di quegli anni fortemente il porto di Pozzallo, che dopo essersi collocato nel 1935 al secondo posto in Sicilia nel settore della marineria velica con 108 velieri superiori a 50 tonnellate e avere vantato il possesso di cantieri per la costruzione di velieri e barche da pesca, vide ridursi sempre più la propria attività. Sia nell’agricoltura, sia nell’industria, la difficile situazione si espresse nel numero crescente di disoccupati e nella assoluta inadeguatezza dei salari – peraltro ridotti per volontà governativa – al costo della vita, sicché si registreranno numerosi fallimenti e il “volontariato della fame” (cioè l’arruolamento nelle forze armate e di polizia) trovò nuovo alimento» (Economia e sviluppo in terra iblea).
Già si cantava “Faccetta nera” per la conquista di un “posto al sole”, mentre il Duce chiedeva oro per la patria. La propaganda diffusa dal “Popolo d’Italia”, il giornale fondato da Benito Mussolini, rappresentava gli abissini come selvaggi: «Tutti eravamo convinti che il Negus non facesse che schifo. Ed anche il signor Eden. E la Francia. E la Russia. Faceva schifo tutto il mondo. Noi no.
Eravamo poveri e volevamo un posto al sole. Eravamo un popolo di eroi»[10].
Dominante l’idea del “nemico”, identificato con il “diverso”, in una diffusione di slogan, tra cui il più noto, "libro e moschetto fascista perfetto". L’educazione che i fanciulli ricevevano si basava sull’indottrinamento, sui pregiudizi, nonché su credenze ispirate al più bieco fanatismo. Ad occuparsene era l’Opera Nazionale Balilla (ONB), istituita nel 1926 col compito di istruire, nelle adunanze del sabato, i ragazzi dagli otto ai quattordici anni. Nel 1933 anche i bambini dai sei agli otto anni vi presero parte, chiamati “figli della lupa”. Dal 1937 la gioventù fascista confluì nella Gioventù Italiana del Littorio (GIL). Andrea Camilleri, nel romanzo "La presa di Macallé" che si conclude con un truce episodio (Sellerio, Palermo, 2003), parla di un gioco: la pantomima di una vera e propria lotta. I ragazzini, divisi in due fazioni, da un lato rappresentavano i piccoli balilla, dall’altro gli uomini di colore che avevano sempre la peggio.
Veniva chiamato “Sabato fascista”, ricordato da Gesualdo Bufalino in chiave umoristica nell’opera Museo d’ombre(Palermo, Sellerio, 1982), precisamente nel capitolo “Piccole stampe degli anni trenta”:
«C’erano quei cordoni bianchi da indossare sulla camicia d’avanguardista: fronzoli da operetta, da vigili urbani o bandisti. E sarebbe bastato. Ma che ci si dovesse anche scarpinare su e giù senza senso sul marciapiede dello Stabilimento Tabacchi; e smontare e rimontare due volte, tre volte, quel ferrovecchio del modello ‘91; e cantare in corsa Giovinezza (ma io aprivo e chiudevo a vuoto la bocca, gridando solo le desinenze, e mi sentivo un eroe), cantarla per giunta sotto i balconi dell’unico antifascista locale, un incallito bevitore d’olio di ricino, il quale non sdegnava affacciarsi a battere ironicamente le mani, e pareva però dirci col lampo quieto degli occhi: “Curri, curri, ca cca’ t’aspiettu” (Corri, corri, t’aspetto qui); che si dovesse dico far questo a quindici anni, mentre tante Concette, Maruzze e Liline, andando verso la Senia a raccogliere fiori, ci passavano accanto e ridevano forte...»
Era il 10 giugno 1924 quando Matteotti fu rapito e assassinato da una squadra fascista: pochi giorni prima, il 30 maggio, aveva tenuto alla Camera l’ultimo, drammatico, discorso denunciando coraggiosamente i brogli elettorali nelle elezioni del 6 aprile 1924; anche le sue indagini sulla vicenda della concessione petrolifera alla Sinclar Oil avevano contribuito a decretare la sua fine brutale. Tra il 1930 e il il 1931 il reddito nazionale toccò in tutto il Paese il livello più basso; dal 1932 al 1934 si registrarono i più alti livelli di disoccupazione che tornò a scendere solo nel 1935 con la terribile guerra in Etiopia, che portò alle famiglie un nuovo bollettino di morti e di feriti.
Demolita la chiesa di San Giuseppe, i lavori per edificare il Palazzo del Governo iniziarono nell’ottobre del 1929 e si conclusero nell’aprile 1931.
Tredici anni dopo la prima visita, il 13 maggio 1937, Mussolini tornerà a Ragusa per inaugurare le opere pubbliche, tra cui la casa del fascio e la casa del balilla.
Acuta l’intuizione di Leonardo Sciascia che intitola la sua opera illustrata “Invenzione di una prefettura. Le tempere di Duilio Cambellotti nel Palazzo del Governo di Ragusa” (Bompiani, 1987). Lo scrittore di Racalmuto, dopo l’accenno al racconto di Vitaliano Brancati Singolare avventura di Francesco Maria che narra la “provinciale avventura del dannunzianesimo” a Pachino, si sofferma sulle cronache delle prime esperienze fasciste in terra iblea[11] e giunge a parlare dell’artista al quale il 28 gennaio 1933 venne affidata l’esecuzione delle pitture murali nei saloni della prefettura. Realizzate poi a tempera.
Valente pittore e scultore romano Duilio Cambellotti, architetto e autore dal 1914 al 1948 di scenografie per le rappresentazioni del teatro greco di Siracusa. Famosa la scenografia per “La nave”, tragedia di Gabriele D’annunzio. Anche quella di film storici fra cui “Gli ultimi giorni di Pompei” (1926), e di spettacoli del teatro moderno. Apprezzate le sue decorazioni di alcune sale del Palazzo dell’acquedotto pugliese a Bari; anche quelle del Palazzo del Governo di Littoria – oggi Latina –, dove spicca il ciclo pittorico della bonifica dell’agro pontino legato al tema del grano.
A Ragusa, le scene rappresentate nelle pareti dei tre saloni di rappresentanza colgono diversi aspetti con incisiva eleganza figurativa. A parte l’apologia del fascismo che senza eccessiva retorica ha un suo vigore espressivo in un combattentismo purificato dagli orrori della guerra, non si può non apprezzare la coscienza emozionale del luogo, avendo messo in luce, stilizzandone gli elementi, il paesaggio e i mutamenti: dall’altipiano macchiato di carrubi alle cave di rocce asfaltiche.
Così Sciascia: «Non avrà avuto alcuna passione ideologica per quello che faceva, ma certamente aveva una grande passione per il proprio mestiere, di cui perfettamente conosceva ogni tecnica, ogni segreto. Sicché, entrando nel salone di ricevimento e guardando d’attorno, non ci sentiamo aggrediti da una pittura “fascista”, non sentiamo quell’insofferenza, quel fastidio, quell’avversione che le rappresentazioni di fatti e figure del regime di solito in noi suscitano. Siamo, quietamente, di fronte al passato, di fronte a un ventennio di storia italiana. E questa impressione la dobbiamo alla qualità della pittura…».
Federico Guastella
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[1] Per una costruzione dettagliata della vita: Marcello Saija, Filippo Pennavaria e il fascismo agrario di Ragusa (1914-1926), in L’area degli Iblei tra le due guerre, op. cit.
[2] Caduto il Fascismo verrà eletto al Parlamento nelle liste del partito monarchico.
[3] G. Micciché, Un lungo cammino. Il movimento socialista nella Sicilia sud-orientale, Centro Studi Feliciano Rossitto, Tip. Barone & Bella, Ragusa, 2009.
[4] Il primo emigrò in America, dove fu animatore e promotore del movimento fascista a Boston e New York. Qualche anno dopo Giurato si spostò in Sud America, dapprima in Argentina per poi trasferirsi definitivamente negli anni ’30 in Perù, dove operò per il Governo italiano come divulgatore del Fascismo; il secondo si darà all’onesto lavoro. Osserva Sciascia che dimenticati furono i due fondatori da Vittorio Casaccio nel suo libro Frammenti di azione fascista in terra iblea pubblicato nel 1935.
[5] Le vicende sul concretarsi dell’idea del monumento a Ragusa superiore ed inferiore all’interno del giardino ibleo sono state ricostruite dal prof. Giuseppe Barone nel citato volume Gli Iblei nella grande guerra, precisamente nel capitolo intitolato “Monumenti”. Accurata la descrizione di entrambi i sacrari. Il terzo è a Marina di Ragusa in piazza Torre.
[6] Pagine di storia, La Provincia di Ragusa”, Anno VI n. 2, Aprile 1991.
[7] Un minuzioso elenco delle opere realizzate è rinvenibile nel volumetto di Giovanni Distefano Ragusa secolo per secolo, Supernova edizioni, Venezia, 2020. Ammaliante la narrazione fotografica nel libro curato da Mario Nobile Ragusa 1928-1938 Una città in cantiere. Genesi di un Capoluogo di Provincia, Libreria Paolino editore, Litotipografica Leggio & Diquattro, Ragusa, 1994.
[8] G. Flaccavento, Sviluppo urbano ed edilizio a Ragusa durante il fascismo in L’area degli Iblei tra le due guerre, op. cit.
[9] G. Brinch, Il palazzo delle Poste a Ragusa; G. Flaccavento, Le Muse a RG?, in Le Muse, Supplemento alla Rivista periodica dell’Associazione Culturale ‘Le Muse’ di Ispica, Marzo 2018.
[10] L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Bari, 1956.
[11] T. Battaglia - T. Giurato, Tre anni di battaglie fasciste (1919 – 1922), Ragusa, 1923. Autore dei disegni Carmelo Arezzo, la cui copertina rappresenta due personaggi erculei – gli italiani – che sostengono a forza un enorme macigno al centro del quale sta il fascio littorio.