Cultura
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  • Argomento: Cultura

Palestina, terra che grida sofferenza, terra che emana un profumo diverso e richiama sensazioni ed emozioni di antica memoria. Un luogo da respirare, abbracciare, visitare, accarezzare ed apprezzare in tutte le sue poliedriche dimensioni.

 

Qualche settimana fa una delegazione di scrittori, poeti, editori, giornalisti, attivi in ambito culturale, di volontariato e carità, accompagnati dal poeta palestinese Odeh Amarneh (Consigliere culturale dell’Ambasciata dello Stato della Palestina in Italia), è stata invitata e ospitata dall’OLP (Organizzazione Liberazione Palestina) e dall’Unione Generale degli Scrittori Palestinesi, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo culturale tra Palestina e Italia.

Un passo importante per conoscere da vicino la situazione palestinese ed attuare la reciproca conoscenza letteraria al fine di sensibilizzare il mondo della cultura internazionale in ordine alle problematiche sociopolitiche in cui la Palestina versa, compresa la difficoltosa e non libera espressione intellettuale e giornalistica a causa delle vessazioni e dell’ingiustizia dell’occupazione israeliana.

Tra i viaggiatori italiani la prof Elisabetta Petrolati che insegna a Roma, ama la scrittura, la poesia ed è fermamente convinta che “la spiritualità guida la mia vita e il mio scrivere”. Tra le sue collaborazioni, particolare menzione merita quella con il poeta Domenico Pisana per la rubrica “Poesia e letteratura”.

«Quello che sto per raccontare è il mio incontro con la Palestina, condiviso con un gruppo di scrittori e poeti italiani: un viaggio da cui non si torna indietro». Inizia così il nostro dialogo, narrando la sua esperienza e quanto appreso da Faisal Al Aranki (membro del Comitato Centrale dell’OLP e responsabile del Dipartimento degli Espatriati) sulle problematiche storiche e attuali della situazione palestinese, ma anche su come la cultura sia mezzo e strumento di manipolazione formativa delle nuove generazioni, addestrate all’odio razziale.

«Mi riferisco – continua Petrolati – alla politica di aggressione israeliana che non avviene solo con le armi ma anche attraverso una perdurante azione di accensione continua del fanatismo, a partire dai bambini. I testi scolastici, ad esempio, costituiscono potenti mezzi mediante cui lo Stato può configurare le forme di percezione, classificazione, interpretazione e memoria necessari a determinare identità individuali e nazionali».

È stata una settimana dedicata al dialogo, alla storia e alla quotidianità, con l’animo rivolto alla cultura come veicolo di una corretta informazione e, soprattutto, come strumento di pace.

«Purtroppo, la storia del popolo palestinese subisce un ignobile oblio. Per di più, da parte dell’opinione pubblica e dell’informazione ufficiale, c’è la tendenza a minimizzare: da 75 anni la quotidianità di un palestinese è fatta di guerra, scontri, soprusi, aggressione. Evento unico nella storia, invasione decisa e autorizzata a tavolino di un popolo contro un altro popolo. L’informazione parziale e scorretta è un problema fondamentale nella questione palestinese che determina uno scollamento con la comunità internazionale. Inoltre, i giornalisti palestinesi sono costantemente vittime di aggressione: dal 2013 ad oggi il numero delle aggressioni contro giornalisti e agenzie informative sono 8600, con una media giornaliera di circa tre aggressioni».

Chiediamo se è una quotidianità molto difficile e pesante; risponde: «Nella settimana di permanenza in terra palestinese, abbiamo vissuto soltanto in minima parte ciò che i palestinesi vivono normalmente, e solo molto superficialmente arriva in Europa e nel resto del mondo: momenti di paura (scontri, sparatorie, agguati) e limitazione per i controlli e i punti di blocco continui ed estenuanti (abbiamo impiegato cinque ore di macchina per tornare da Betlemme a Ramallah, dove alloggiavamo), per un palestinese è la quotidianità».

Giuseppe Nativo

 

 

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Paul Valéry