Un dono dalla Comunità di San Leolino
Ecco un modo intelligente e divertente di portare Pinocchio a scuola! Sì, il burattino tra i ragazzi di carne e ossa non ha subìto l'onta di esservi trascinato per le orecchie lunghe da asino! Era ora. Lo ha fatto, da pari suo, Giovanni Meucci con la commedia musicale in due atti, Pinocchio (Edizioni “Feeria”, 2018), collaborato da Francesco Romano, compositore delle musiche originali.
Personaggio gioiosamente anarcoide e spassosamente protestatario, talora spaesato e ingenuamente indifeso, ancorché spaccone con una sua sapienzialità di comodo, del tipo Cicero pro domo sua, Pinocchio può impersonare tanto le contraddizioni e i colpi di testa dell'adolescente disadattato e/o plagiato, quanto i rimorsi dell'adulto che persiste nei suoi errori, pur riconoscendoli come tali, ma che nel suo intimo aspira a vivere da benpensante. Ed è proprio quando la creatura umana viene finalmente fuori che il nostro personaggio potrà concepire la famosa battuta - insieme presa di distanza e rifiuto di ciò che era stato - : “Com'ero buffo quand'ero burattino!”. Una battuta che sconfessa e condanna la macchia del “peccato d'origine”. Bene, è allora che si potrà dire che la sofferenza è grazia; ed infatti alla grazia segue la catarsi, la redenzione. C'è tutto, infatti, nell'allegoria collodiana che impersona Pinocchio, ed è questo Pinocchio: una creatura prima e dopo la grazia! Non è infatti difficile individuare e mettere in luce tratti esistenziali che lascino intravvedere un sofferto percorso di umanizzazione e perfino, se si vuole, metafisico (la fatina: il bene contro il male!), a dispetto di atteggiamenti scanzonati e burloni, che pure sono la perla del romanzo collodiano, mettendo in risalto la ribellione, come rifiuto interiore, verso la propria condizione di persona “cosizzata”, che per grazia diviene creatura umana, finalmente libera e liberata dalla scorza ruvida della “pinocchite” che ci imprigiona con l'arma della seduzione e lascia spazio a un maldestro uso ludico del libero arbitrio che detesta i “grilli parlanti,”: viene meno, insomma, la facoltà di autodeterminazione di fronte alle lusinghe tentatrici del Paese dei Balocchi. C'è sempre un Lucignolo che ci mette alla prova. E ciò che duole è che anche oggi i ragazzi sognano un paese dei balocchi per il loro chiasso quotidiano e balordo “dalla mattina alla sera!” o fino all'alba come vuole lo sballo delle nuove generazioni che bruciano la loro vita nelle discoteche.
Mi pare che questo burattino di Giovanni Meucci, così ben centrato dalla penna critica di Carmelo Mezzasalma nel saggio Musica per Pinocchio, apra alla riflessione sull'attualità e sul destino futuro della “pinocchite”, che ammorba (la cronaca ce ne dà atto, e la Scuola deve avere più polso!) tanti giovani di oggi ai quali, forse, sarà negato il privilegio di potere esclamare con compiaciuta convinzione: “Com'ero buffo quand'ero burattino!”.
Non c'era soluzione più idonea di questa per farci riflettere sull'importanza pedagogico-didattica di innovare la Scuola attraverso la scrittura creativa, che apre ai ragazzi nuove e più efficaci strade di apprendimento e di riflessione, reinventando situazioni narrative attraverso la drammatizzazione di brani della grande letteratura otto/novecentesca.
Giovanni Occhipinti
Il “Pinocchio” di Giovanni Meucci
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