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  • Rubrica: Cose di scuola

Mai come in questo periodo, parecchio travagliato in ambito di emergenza sanitaria, si è parlato tanto di Scuola, di insegnanti e, in ugual misura, anche di studenti di ogni età e, ovviamente, di tutte le tematiche strettamente connesse con la didattica già in uso o da utilizzare.

Per la verità, si è parlato anche dei banchi di scuola, tanto per la loro fattura quanto per la distanza intercorrente tra un discente e l’altro. Quelli meno giovani, come lo scrivente, ricordano i vecchi banchi di scuola testimoni silenziosi di tanti pensieri, di non poche preoccupazioni giovanili, raccoglitori di tante “opere d’arte” come i disegni graffitati sulla parte legnosa dello stesso banco o sulla sedia, decorati come per magia dalle quotidiane emozioni. Banchi di scuola come ultimo baluardo per nascondersi da paventate interrogazioni, territorio cosmopolita per smistamento suggerimenti o veicolo di messaggistica – tipo porta a porta - per raggiungere la propria morosa che magari si trovava all’altro capo dell’aula e che, non di rado, non era neanche a conoscenza di essere oggetto di pulita e giovanile attenzione. Sui banchi di scuola è ruotata un’innumerevole generazione di studenti, futuri cittadini del domani.

Dunque, i banchi di scuola hanno svolto anch’essi un ruolo non indifferente nella vita di ciascun scolaro. Ma girando pagina, proviamo ad immaginare che fine hanno fatto o faranno i banchi vecchi sostituiti nelle scuole? Sui social, ma anche dietro l’angolo di un quartiere cittadino, non sono poche le immagini di accatastamenti, di una sorta di discarica improvvisata talora dietro gli stessi istituti, di camion carichi verso ignote destinazioni. In tempo di crisi un valore è quello di fare in modo di non sprecare e, al contempo, impegnarsi a dare un nuovo senso alle cose, piccole o grandi, poche o numerose. Gli insegnanti di oggi, sia pure inondati di una caterva di problematiche, cosa ne pensano dei vecchi banchi, quasi dimenticati e lasciati al loro destino? E soprattutto, possono essere oggetto di altri utilizzi (es.: punti d’appoggio di materiale e strumenti didattici visto che gli armadietti talvolta scarseggiano)? Abbiamo girato i quesiti a Marinella Tumino, docente, scrittrice iblea e, soprattutto, mamma.

«Ricordo ancora i banchi di quando frequentavo la scuola come studentessa», dice Marinella Tumino. «Erano uno scampolo di storia scritta a più livelli, con banchi pieni di gomme da masticare attaccate sotto il pianale e con un ripiano per infilare libri, la merenda, ma anche eventuale pizzino per copiare la versione di latino. Sul banco vi era spesso una costellazione di scritti, quasi come a voler lasciare una traccia del passaggio di ciascun studente. Negli ultimi mesi, invece, si è fatto un gran parlare di banchi innovativi con le rotelle, sedute attrezzate con piccoli piani ribaltabili adatti a ospitare tablet o portatili e non più di due quaderni e libri. Un acquisto, questo, piuttosto costoso che ha cambiato radicalmente il mobilio in oltre metà delle classi delle scuole superiori e se da una parte potrebbe essere considerata una buona idea per movimentare gli spazi dell’apprendere, dall’altra però, di certo, impedirà, in un prossimo futuro, lo studio su tavoli adatti a lavori di gruppo, dove condividere e confrontare i più svariati materiali, disegnare una mappa o altro. Nell’istituto in cui insegno le “sedute innovative” pervenute sono state utilizzate solo in alcune classi; evidentemente il numero non era sufficiente per sostituire tutti quelli già in dotazione.

A dire il vero, sarò un po’ conservatrice, ma per me va bene così. Da insegnante mi piace avere davanti l’immagine di un’aula con la tradizionale cattedra e i classici banchi, non quelli nuovi, a mio parere, poco estetici. Reputo comunque la questione banchi l’ultimo dei problemi in un momento storico in cui la salute è al primo posto e il resto viene dopo. Tuttavia, mi sono sempre posta la domanda su che fine faranno tutte quelle sedie e quei banchi rimpiazzati. Forse qualcuno di essi potrebbe essere utilizzato come ripiano d’appoggio per materiale o strumenti didattici ma sono piuttosto ingombranti, quindi ne rimarrebbero tanti inutilizzati. Una proposta, che potrebbe riguardare quelli ancora nuovi e intatti, potrebbe essere quella di spedirli laddove la scuola si fa seduti per terra, sul pavimento perché mancano gli strumenti come accade in tanti villaggi dell’Africa, in quelli dell’Amazzonia o, ancora, nei campi profughi. Sarebbe, pertanto, auspicabile affidarli a delle agenzie umanitarie internazionali per destinarli ad una più utile locazione piuttosto che finire a marcire in scantinati o vecchi ripostigli». 

Giuseppe Nativo

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry