- Rubrica: Spigolando
Ragusa, 5 maggio 2022 — Certo non si potrà mai stilare la classifica degli handicap, fisici e no. Una lista che comprenda se è più grave essere fortemente miopi oppure essere visibilmente claudicante.
Appare evidente, infatti, che l’handicap (disabilità) è grave per chi ne soffre, lo sopporta. Certamente ogni handicap è fonte di dispiacere per chi, pur non soffrendone, guarda chi ne è portatore, e vive una vita molto diversa rispetto ad un normale canone. Osservare con occhi funzionali chi è costretto a farsi accompagnare perché non vedente, smuove il sentimento più profondo di ciascuno di noi. Correre col vento in faccia e incrociare un ragazzo in carrozzina fa piangere, inevitabilmente.
Si potrebbe continuare, ma non servirebbe.
C’è però una eccezione, stranissima, che io non riesco a spiegarmi e che, approfittando di questo spazio, spero poter aver rivelata da chi ne ha scoperto la causa.
Avviene tutte le volte che si ha a che fare con chi non sente bene. Non stiamo parlando dei sordi (la cui categoria rientra legittimamente tra i disabili di cui sopra), ma di quelli che hanno problemi d’udito, di quelli che sentono solo se ti guardano in faccia, di quelli che per ascoltare debbono piegare il collo e avvicinare l’orecchio verso la fonte dell’onda sonora.
Tutti costoro non fanno pena. Non vengono accomunati a chi soffre di handicap leggeri. Tutt’altro. Vengono sistematicamente presi in giro.
Dalle mie parti, chi ha lieve carenza uditiva, viene indicato come «trantu r’intisa». E se lo si dice in un gruppo, gli altri quantomeno sorridono, alcuni ridono apertamente. E, per colmo, chi soffre di quel leggero difetto e per caso ascolta gli altri sorridere di quel suo difetto, non si arrabbia, non manifesta fastidio, non alza una stampella per darla in testa a chi, sano e robusto, ride del suo problema.
Ma poi chissà perché. Io non me lo spiego. E lo stesso fatto che ci ragiono sopra dimostra quanto i tre neuroni tre che vagano inconsapevoli dentro la mia scatola cranica stiano sempre più perdendo vigore (semmai l’hanno avuto). O forse, e più semplicemente, il mio pseudo ragionamento, la mia riflessione è legata al fatto che dall’orecchio destro sento poco, molto poco, e il sinistro regge, spero ancora a lungo, e in maniera sufficiente a sentire quelli, anche familiari, che mi sfottono perché sempre più spesso non mi giro ad ascoltare se chiamato. Questa si chiama vecchiaia. Anzi, vecchiezza.
Saro Distefano