Sapere

  • Autore: Susanna Valpreda
  • Editore: Bonanno Editore

Essere siciliani tra il IV e V secolo

 

Una Sicilia da amare. Una Trinacria da raccontare sotto il cielo stellato. Una Sicilia in cui il mito rappresenta quel sottile velo tra cielo e terra, due lembi che si toccano e si intrecciano in una dimensione parallela. Una Trinacria dal sapore antico dove ancora si sentono i passi degli dei e degli eroi. Una Sicilia dove la Storia si permea con la natura dei luoghi incuneandosi nelle pieghe del tempo. Un Trinacria bilingue dove il greco e latino trovano un punto di incontro nella stessa essenza della vita e un connubio senza condizioni in pitture rupestri e iscrizioni sepolcrali.

A proposito di quest’ultime, Susanna Valpreda, autrice del pregevole saggio “Sikelia: la Sicilia orientale nel periodo bizantino” (Bonanno editore, pp. 174), segnala due iscrizioni sepolcrali rinvenute in Sicilia dedicate a bambini morti in tenera età e che la studiosa trova “assolutamente commoventi”.

La prima epigrafe, del IV secolo, in latino, è stata rinvenuta a Catania (ma è conservata al Louvre), nella necropoli di via Dottor Consoli. E’ dedicata a Iulia Florentina, una bimba cristiana, "dulcissima atque innocentissima", morta a soli diciotto mesi e battezzata in punto di morte.

La seconda iscrizione, in greco, è quella inserita su una lapide, risalente al IV-V secolo, rinvenuta nel cimitero vicino Chiaramonte Gulfi (in territorio ibleo). Risulta decorata con una menorah e riporta l'iscrizione: "Giasone il bambino", la cui età doveva essere compresa fra i 2 e gli 8 anni.

“Anche questa è la Sicilia - scrive la ricercatrice - stessa isola, stessa epoca, due bimbi mancati all'affetto dei loro cari, una cristiana, l'altro ebreo, in una famiglia si parlava latino, nell'altra il greco”. Entrambe le famiglie avevano una comune matrice, ovvero accomunati dall’essere siciliani! 

Giuseppe Nativo

  • Autore: S. Micciché, S. Fornaro
  • Editore: Carocci editore

Il 5 luglio 2018 per i tipi di Carocci Editore, in Roma, esce Scicli. Storia, cultura e religione (secc. V-XVI), il nuovo studio sulla storia medievale di Scicli, ad opera dello scrittore Salvo Micciché e dell'archeologa Stefania Fornaro.

Nel libro, la cui prefazione è a cura del prof. Giuseppe Pitrolo, sono ospitati anche i contributi della numismatica Stefania Santangelo (IBAM, CNR Catania), dello storico Ignazio La China, del giornalista e scrittore Giuseppe Nativo.

«Che cosa si conosce realmente di Scicli nel Medioevo? – si sono chiesti gli Autori – Che cosa tramandano le fonti, i reperti dell’abitato e del circondario (e poi della città) di Scicli e le varie forme del suo toponimo (Xicli, Sicli, Sycla, Shiklah...)?» Per rispondere a queste domande, il volume analizza la storia, la cultura e la religione di Scicli dal Medioevo al Cinquecento commentando le fonti e i reperti relativi alla storia della città.

«L’importanza di Scicli nell’ambito della Contea di Modica, il più vasto Stato feudale della Sicilia, – sottolineano Fornaro e Micciché – si impose con forza anche grazie alla sua felice posizione geografica, non lontana dal mare».

Toponomastica, onomastica, culti e storie di uomini e luoghi, cristiani ed ebrei, dal V al XVI secolo: sono i percorsi di lettura che gli Autori propongono allo studioso e al lettore curioso che vuole approfondire la storia che conduce alla nascita della città iblea che sarà poi barocca e moderna e che Vittorini definì «la più bella del mondo».

Molto è stato scritto della Scicli barocca e moderna (si pensi agli ottimi lavori di Giuseppe Barone, Paolo Nifosì, Paolo Militello per esempio), abbastanza sull'archeologia del territorio sciclitano (anche grazie all'opera degli archeologi Pietro Militello ed Elio Militello), tanto sulla religione (Ignazio La China tra tutti); le fonti e gli scritti sul Medioevo erano sparsi in vari testi e documenti e gli Autori hanno l'ambizione di proporre un testo guida da cui partire per approfondire queste fonti e questi scritti con l'obiettivo di invitare giovani studiosi a portare avanti la ricerca e l'invito agli storici a proporre un rinnovato interesse per la storia medievale della città, che sicuramente va ampliata e ripensata, partendo dalle opere degli eruditi (Carioti, Perello, Spadaro...) e degli storici moderni (dal Cataudella al Santiapichi fino ai contemporanei).

Il volume nasce grazie alla collaborazione tra Carocci Editore, editore leader nel settore dei testi storici e scientifici dedicati agli studiosi e alle università, e Ondaiblea, Rivista del Sud Est, la nostra rivista che con orgoglio presenta lo studio a chi ama Scicli e la sua storia.

s. m.

 

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Il libro è disponibile in tutte le librerie d'Italia (anche online) e nel sito di Carocci Editore


Copertina

Al Centro Studi Feliciano Rossitto presentazione del libro di Gino Carbonaro

 

Il Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa fa sapere che venerdì 22 giugno 2018, alle ore 18.00, presso la propria sala conferenze (Via Ettore Majorana, 5) sarà presentato il libro di Gino Carbonaro, “Donna, una storia senza eco - Misoginia Violenza Follia”.

Converseranno con l’autore Giuseppina Pavone (sociologa) e Turi Scalia (giornalista, scrittore).

La lettura di alcuni passi del libro sarà curata da Ornella Cappello e Pippo Antoci.

Concluderà l’autore.

 

G.N.

 

L’ardente opera poetica di Pedro Luis Ladrón de Guevara 

 

Il titolo, Tornerò dov'ero, un'allusione al primitivismo delle origini contro la disumanizzazione dell'era contemporanea? Un rifugio di salvezza per una civiltà nuova e nobilitante, non gravata e degradata dal peso assurdo della violenza e della sopraffazione, hobbesianamente lupesca? Certamente, questo e altro ancora. Parliamone, parliamo dell'accoramento di questo poeta spagnolo, di Murcia, Pedro Luis Ladrón de Guevara, italianista e autore di opere di poesia, di narrativa e di saggistica letteraria: un poligrafo, insomma, immerso nei ricordi ovvero i sogni di un passato che si fa desiderio e fuga dal presente, cioè dalla realtà degli affanni di una Storia ripudiata, da vilipendere, dimenticare: quella delle ingiustizie, delle sopraffazioni, delle persecuzioni, dei soprusi, delle barriere dove “L'umanità svanisce, si spegne/ [...]”. E in tutto questo assistiamo alla celebrazione di un'elegia che diviene religio della vita. C'è uno strazio nel cuore di questo poeta: la sorte dei migranti ovvero degli “ultimi”, che già ai primi del '900 scossero la sensibilità di uomini e grandi intellettuali come Benedetto Croce, Edmondo De Amicis, Mario Rapisardi, per non dire della filantropa - cent'anni fa - Francesca Cabrini, che costruì a Chicago un ospedale per loro. Ebbene, Pedro Luis è di quelli che vanno verso una coscienza universale e una civiltà cosmopolita; e sa bene che è in atto una trasformazione geopolitica epocale a causa del flusso migratorio.

È come se condividesse (e certamente è così) le istanze di quel Breviario Mediterraneo di Predag Matvejevic che già nel 1987 aprì la mente di tanti alle grandi riflessioni sull'uomo e sulla Storia. Oggi, l'emigrazione e i migranti sono al centro dell'attenzione della “Biennale Internazionale di Fotografia” dedicata al tema: “Mediterraneo, immenso archivio e profondo sepolcro”; e credo di non sbagliarmi, affermando che il nostro Poeta abbia tenuto in considerazione tutto questo, concependo i suoi versi, insieme ai grandi problemi di un Medio Oriente in pericolosa ebollizione. Penso, tra gli altri Stati, alla Siria, a Israele, alla Palestina. Ma l'arte, si sa, nasce anche dal sangue del mondo, ahimè! Ce ne dà ragione il componimento L'umanità svanisce, i cui versi mi ricordano quelli di Justo Jorge Padrón laddove, in E se Dio si stancasse di noi, dice: “Per non farci più amare/ verserebbero su di noi l'ambizione, / l'invidia, la violenza, la lussuria, l'odio...”; ma mi ricordano anche l'altro grande poeta spagnolo Manuel Vásquez Montalbán, in Morirà questa storia nella Storia (cfr: Il desiderio e la rosa): “di esplosione negli occhi/ frantumeranno le schegge/ della città vinta/ i corpi sono il mio corpo/ vita storia rosa carrarmato ferita”. Nell'uno e nell'altro vi ritrovo il pensiero critico del trappista Thomas Merton, soprattutto là dove affiora il rifiuto del materialismo consumista e l'anelito alla pace costruttiva tra i popoli della terra. Mi pare di cogliere il sospiro affranto del poeta nell'ossessiva auscultazione della natura che si ribella alle ingiustizie e ai soprusi dell'uomo sui propri simili: una storia che indispettisce il mondo e offende Dio. Ecco, questo di Pedro Luis è un teatro dello smarrimento e del dolore: qui, è l'elegia della Storia che nel dolore esistenziale rasenta la preghiera e diviene misura dell'ingiustizia dei confini e delle civiltà che si guardano in cagnesco.

Il lettore attento non può non notare che questa poesia, assai problematica, è costruita su segni di mutazioni epocali e che il cruccio e l'ansito civile contenuti nell'ansia delle parole ferite dalla rivolta o dall'indignatio del pensiero si fa condanna della Storia e, per contrasto, larvata speranza dell'uomo che vuole rinascere, come qui in Primato: “Rinascerà il pianeta:/ cancellerà Natura/ l'impronta prepotente/ distesa nella Storia/ da questo essere ingrato. / Umano poco umano”. Più di una tensione civile! E' tensione evangelica, ma anche condanna insistita contro il negativo e il destruens del mondo. Come un anatema che nega, nel grido, “il futuro del mondo”, prospettando la minaccia della fine. E se vogliamo dire di più: tutto il discorso poetico di Pedro Luis è riassumibile nelle parole toccanti di Esodo: “Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d'Egitto”.

Come si vede, l'attenzione all' “Altro” qui è espressa attraverso la poetica dell'umanitarismo civile e biblico, come per esempio nelle allusioni in Non sarai corpo: “che hai fatto per quei popoli/ assediati dalla fame/ per quei figli dagli occhi grandi/ e dagli ancor più gonfi stomaci”. Siamo al momento cruciale dell'êthos biblico del “dopo” o dell'éschata, le cose ultime, ovvero la resa dei conti a Dio: “[...]/ guarderai il Suo volto senza confini/ e vedrai in un istante la tua apatia/ intinta nello sconforto/ dei popoli innocenti”. 

Il solco di Romolo e il fratricidio: la morte di Remo per mano del fondatore di Roma, secondo la leggenda; il confine, nel concetto rousseauiano secondo il Contratto sociale: delimitare una proprietà è già un segno di inimicizia verso l' “Altro”, il vicino, il confinante che si deve attenere a regole precise, pena la guerra e la morte. Questo motivo ritorna nel testo Rompendo le frontiere: “Non tracciare, figlio mio, / sulla mappa le frontiere. / Non solcare il planisfero/ con dei tratti in carboncino”.

Ebbene, questo motivo ritorna, più drammatico, in Lacrime sul mare: “Il figlio perso nella notte/ solcata da fragile zattera/ da un vecchio Continente a un altro, / dalla guerra crudele alla pace,/ da quasi assoluta miseria/ alla speranza in un domani”.

Che dire?, in questo libro c'è tutta la cronaca cruenta, drammatica della Storia contemporanea mondiale, dove la morte regna sovrana e sovrano è il simbolo del disprezzo della vita. Si leggano in questo senso i versi di Morire per te, che suonano come un avvertimento Ai membri di alcune ONG, a cui il testo poetico è dedicato. Soprattutto come disprezzo anatema condanna: “Sopravvivere a tante armi vendute/ da padroni con i diamanti al collo. / Campo di rifugiati, di massacrati/ bambini. I missili pagano il caviale”.

E’ il canto del tragico intonato sulla nota alta e toccante della Babele del mondo sempre più posseduto dai disvalori del crimine per i vecchi trenta denari

Giovanni Occhipinti

 

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Pedro Luis Ladrón de Guevara

(Cieza, 1959) Insegna Lingua e Letteratura italiana all'Università di Murcia. Si è occupato, con studi e traduzioni, di numerosi scrittori italiani classici e contemporanei, tra i quali Leopardi, Campana, Ungaretti, Luzi, Caproni, Magris, Tabucchi. Come poeta ha pubblicato Itinerarios en la penumbra (2003), la raccolta bilingue ispirata all’Italia Cuando la piedra habla/Quando la pietra parla (2004), Escarcha sobre la lápida (2007), Del sudor de las sirenas (2015). Tra le sue opere narrative si segnalano i racconti di Los mundos de mi mundo (2005) e El donante y otras historias (2015) nonché il romanzo La campana rasgada (2013).

Coltiva anche l’arte della fotografia, come testimonia il volume Viaggio in un’Italia senza tempo (2015) che riunisce insieme versi e immagini dedicati al nostro paese.

Ultima fatica letteraria Tornerò dov’ero (2018, pp. 82)

È una missiva molto garbata, ma anche un po' amara, quella che Salvatore Cosentino, fine scrittore di Mirabella Imbaccari, scrive a Gesualdo Bufalino il primo marzo 1988. Una lettera, fino ad oggi inedita, che prende luce e vita nella pubblicazione a stampa della sua recente fatica letteraria “Messaggi di lingue tagliate. Storie siciliane” (G. Onorati editore, Canterano-Roma, 2018, pp. 252), sorta di mosaico i cui tasselli di vita vissuta - talora sofferta e rassegnata, talaltra ironica e graffiante - incastonati nel murmure quotidiano di vita locale, forniscono abbondanti razioni di pillole di genuina e vetusta saggezza. Un insieme di racconti che sono rimasti per tanto tempo in un cassetto e che nella seconda metà degli anni ‘80 sono stati apprezzati tantissimo dallo scrittore casmeneo da trarne spunto per scrivere un elzeviro per “Il Giornale” di Montanelli e ispirazione per un capitolo de “La luce e il lutto” pubblicato dalla Sellerio nel 1988.

L’incontro con Bufalino, confessa il nostro, fu all’insegna di una “confidenzialità quasi familiare”. «Mi è piaciuto anche il titolo Lingue tagliate utilizzato dal “Giornale”», aggiunge con emozione Cosentino. Proprio da quel titolo trae origine quello dato adesso al suo recente libro che, con le sue dimensioni un po' ridotte, si presta molto bene a stare in borsa e magari leggerlo in pullman.

L’opera è ricca di graziose pennellate narrative e, soprattutto, di sensazioni. Emozioni narrate e raffigurate in maniera letteraria da fare apprezzare ancora di più la Sicilia verde del carrubo, quella bionda del miele, evocando sensazioni bufaliniane e quasi a superarle. Quella di Cosentino è una quotidianità siciliana ricca di sfaccettature. Nei suoi mini-racconti, da leggere tutto d’un fiato, trova giusta collocazione quella “umanità minore” che non fa cronaca a cui è restituita una dignità. Una “umanità minore” che “soffre e gioisce in decoroso silenzio”, che ha, appunto, la “lingua tagliata”, soffocata, impedita. In questa dimensione lo scrittore mirabellese si fa portavoce, in maniera puntuale e graziosa e talora delicata, dei “messaggi” di questa “umanità minore” rappresentata dai personaggi raccontati, dai loro modi di fare, da quello che dicono, dai loro volti, che vanno a “sintetizzare un romanzo non ancora narrato”.

In questi racconti, ritagliati su misura dalla sapiente forbice letteraria dello scrittore mirabellese, anche gli oggetti assumono una loro personalità come lo “specchio guardone” di un negozio di abbigliamento che sente l’incalzante bisogno di dare sfogo a non poche emozioni represse in lunghi anni di attività. Pure i luoghi sembrano avere un’anima come la “piazzetta dello speziale” (esistente in quel di Mirabella Imbaccari) che trae la sua intitolazione proprio per la presenza dell’ottocentesca farmacia del paese, di proprietà del nonno paterno dell’autore, crogiolo tra l’altro di critica politica dai toni pungenti pro o contro i Borboni, o di notizie anticlericali finte che avevano come obiettivo il parroco.

Quelli di Salvatore Cosentino sono echi le cui tracce sono ancora presenti nelle piccole realtà cittadine, dove ancora è possibile respirare un’atmosfera a misura d’uomo. Realtà urbane in cui i “fatti reali” vanno a “superare la fantasia” senza azioni di disturbo che pervengono dal caos delle grandi città. 

Giuseppe Nativo

 

Profilo biografico

Salvatore Cosentino è nato a Mirabella Imbaccari, in territorio etneo, dove vive. Fin dal 1956 si occupa di storia della Sicilia, di sociologia, di narrativa e di teatro, pubblicando oltre trentacinque libri. Ha diretto l’Istituto di Sociologia “Luigi Sturzo” di Caltagirone, dove ha istituito la prima cattedra in Sicilia di Scienze delle relazioni pubbliche a indirizzo pragmatista. Ha collaborato con la Rai e con vari quotidiani tra cui “Il Giornale”, il “Corriere della Sera”, “La Sicilia”.

Ha tenuto seminari di studio e di ricerca in diverse università italiane e straniere. Ha tenuto, altresì, seminari di Sociologia dell’emigrazione presso l’Istituto di Antropologia culturale dell’Università “Goethe” di Francoforte sul Meno.

Riconoscimenti per la scrittrice Marinella Tumino 

Ancora apprezzamenti per Marinella Tumino, scrittrice iblea e prof molto amata dai suoi studenti in quanto parla e sta insieme a loro come se fosse la loro mamma. Il suo compito, oltre che formativo, è anche quello di guidare i suoi ragazzi al fine di creare tutti i presupposti perché essi possano diventare adulti consapevoli, responsabili e attivi nella società civile.

Oltre ai suoi studenti Marinella Tumino parla anche ai suoi lettori e lo fa attraverso i suoi volumi che in questi anni ha dato alle stampe. La sua recente fatica letteraria, “L’Urlo del Danubio – Viaggio dell’anima sui binari della memoria storica” (Operaincerta Editore, Ragusa, 2018, pp. 128), attraverso la quale la scrittrice ragusana ripercorre narrativamente il dramma dalla Shoah con un viaggio immaginario in alcuni dei luoghi simbolo in cui si è consumata la terribile tragedia del nazismo, in pochi mesi ha riscosso vasti consensi anche in ambito nazionale.

Nei giorni scorsi le sono pervenuti non pochi attestati volti a riconoscere non solo il valore letterario del volume ma anche la carica umana ed emotiva che emerge dirompente dal testo narrativo. Il primo riconoscimento è arrivato da Papa Francesco che - per il tramite la Segreteria di Stato - ha fatto pervenire “espressioni di affetto e spirituale vicinanza” formulando gratitudine per il lavoro svolto dalla Tumino.

Anche il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha espresso riconoscenza all’autrice per la sua opera per la sua “passione e impegno”.

Infine, è di questi giorni la gratitudine formulata dalla senatrice a vita Liliana Segre, deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e sopravvissuta agli indicibili orrori dello sterminio ebreo. Così scrive: “Gentile Marinella, le sono grata per il libro che ha voluto gentilmente donarmi. Lo leggerò senz’altro nel poco tempo libero che ultimamente mi trovo a gestire. Ammiro il suo impegno nel trattare con professionalità e sensibilità il triste tema della Shoah. Anche a nome di coloro che non sono tornati le esprimo la mia più profonda stima e riconoscenza. Liliana”. 

Redazione

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