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Tra dieci anni, come ti vedi?

Oppure: “Quanti figli vorresti avere?” 

E ancora: “Se ti sposerai, di che colore vorresti l’abito?

Queste sono tutte domande che, nella maggior parte dei casi, sono formulate nei momenti più inopportuni nella vita di una persona.

Ma c’è una domanda che, in particolare, viene posta sempre, da quando si frequenta la scuola materna fino a quando ha inizio un vero e proprio lavoro. Ed è la seguente: “Cosa vuoi fare da grande?”.

La risposta più sincera e spontanea sarebbe un semplice “boh!... e che ne so”, ma quasi mai viene data.

La risposta, anzi, le risposte a tale fatidica domanda sono le più varie, perché tanti sono i settori lavorativi e varie sono le fasce d’età.

Andiamo con ordine. Se questa domanda viene posta ad un soggetto tra i tre e i dieci anni, si tratta di bambini, la risposta non può non essere piena di fantasia e, comunque, ricolma di sogni e con la voglia di realizzarli tutti. I sogni rimangono, ma si restringono intorno ai sedici anni, subendo una ulteriore e notevole “scrematura” nella maggior età.

Dopo gli esami di maturità (“maturità” che parolona… indica il momento fatidico in cui gli studenti la “conquistano” con gli esami liceali del quinto anno) cosa succede? Succede che il “maturato” deve scegliere: università (ma quale?), o lavoro (ma di questi tempi è molto difficile), o anno sabatico (a quale fine?).

Parliamo dell’università. Qui la prima domanda sarà sempre: “Cosa vuoi fare da grande?”, si riprendono i vecchi sogni di un tempo che si erano persi durante gli anni. Si acquistano i primi libri per prepararsi ai test d’ammissione, porta d’accesso per l’università. Una volta superate le prove di ingresso si apre un lungo cammino che può essere più o meno impervio, talora lungo ed estenuante, in base alla scelta effettuata; un cammino fatto da orari strampalati per le lezioni, orari e giorni ancora più scombinati per quanto riguarda gli appelli degli esami; il periodo nero pre-esame; sorrisetti per ingraziarsi qualche professore; noie, seccature, gioie per i trenta e soddisfazioni per i non pochi complimenti che si ricevono.

E anche qui occorre fare una suddivisione in tre fasce: dai 18 ai 20 anni, dai 20 ai 25, dai 25 ai 28 anni.

Nella prima fascia, lo studente è fresco di quella “maturità” di cui si parlava prima. Vuole conquistare il mondo, ha una forza e uno spirito di iniziativa pari alla forza di Ercole.

Nella seconda, lo studente si rende conto che il mondo universitario è leggermente diverso da come si aspettava che fosse quando ancora era un liceale. Perde colpi, l’entusiasmo iniziale inizia, forse, a sgretolarsi. Voglia di abbandonare l’università è pari al 70% (nei casi meno difficili) rispetto alla complessiva voglia di continuare a studiare. Spirito di iniziativa è pari a un gelato squagliato al sole.

Nella terza fascia, lo studente, ormai giunto quasi (e sottolineo il “quasi”) vicino alla metà, intende oramai raggiungerla, ad ogni costo. 

Dopo i 28 anni, si presume che lo studente si trasformi magicamente in dottore. Parola “magica” che fa sentire importanti e ulteriormente “maturi”.

Parliamo del lavoro. Qui la domanda “Cosa vuoi fare da grande?” vale sempre, ma viene messa in un cassetto per un tempo indeterminato, mentre si praticano lavori più o meno soddisfacenti a tempo determinato. Il vocabolo “determinato” inizia ad avere una valenza che diventa sempre più pesante nella vita di ogni giorno. Il “tempo” normale si dilata, mentre quello lavorativo diventa sempre più delimitato e sempre più ristretto. 

I due motivi più comuni per cui si sceglie il lavoro (ammesso che se ne trovi qualcuno) sono:

-“non mi piace studiare”, accompagnato dalla conseguente riflessione: “già che ho preso il diploma...!”.;

-“mi sarebbe piaciuto studiare, ma intanto ho trovato questa occasione che in pratica sfrutto”.

Beh, in effetti tra passare tutto il giorno, tutti i santi giorni, davanti a un libro, accumulando ansie da prestazione per poi imbattersi in docenti non proprio “alla mano”, tra l’altro senza ricevere un euro per gli sforzi e i sacrifici fatti, e invece fare otto ore lavorative al giorno, ricevere qualche euro, senza ansie (o quasi), la scelta sembrerebbe facile… Dipende dai punti di vista.

I più coraggiosi sono gli studenti-lavoratori, coloro che un po’ studiano e un po’ lavorano.

Infine c’è chi sceglie l’anno sabatico, ovvero colui che prende un anno di tempo per decidere cosa fare, dove andare, cosa fare da grande; colui che, nel frattempo di una decisione definitiva, si alza con comodità la mattina, si fa un giro in centro, controlla su internet sia il piano di studi di qualche facoltà sia se c’è qualche annuncio di lavoro da qualche parte.

U megghiu i tutti! (il meglio tra tutti, colui che se la passa meglio, insomma!).

Chiudo questi miei pensieri con un’ultima riflessione: sia se sono universitaria, sia se sono una lavoratrice, sia se non sto facendo niente, la cosa importante è questa: quando guardo il cielo, non lo devo osservare solo per sapere che tempo farà. Guardo il cielo per ricordarmi quali sono i miei sogni. E se ci sarà il sole senza nuvole, sarà un ottimo segnale.

Voi che ne pensate?

 

Lucia Nativo

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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