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Paolo Nifosì: «Il nuovo sguardo di un giovane contemporaneo sul paesaggio e gli affetti filtrato dalla sapiente lezione dei classici». Stefano Malatesta: «Uno dei migliori disegnatori italiani in assoluto»

 

#Modica, 23 novembre 2015 - A Modica, negli spazi del Convento del Carmine, dall’11 dicembre al 31 gennaio 2016 settanta opere ripercorrono i primi quindici anni di carriera di Giuseppe Colombo. Si tratta della prima antologica dedicata al pittore siciliano. Curata dallo storico dell’arte Paolo Nifosì, la mostra è organizzata dalla Fondazione Teatro Garibaldi con il patrocinio del Comune di Modica e il coordinamento di Tonino Cannata. S’inaugura venerdì 11 dicembre, ore 18.

 

Nelle sale del Convento, spazio restituito alla città dal maggio 2015 con l’omaggio agli ottanta anni del maestro Piero Guccione, saranno esposte dall’11 dicembre decine di opere in prestito da collezionisti di tutta Italia con cui Nifosì ricostruisce l’iter creativo di Colombo. Artista che di recente, come scrive il curatore nel saggio in catalogo, denota una “nuova percezione della luce e della definizione (…). L’occhio di Colombo (…) potenzia la brillantezza, la saturazione cromatica, la luminosità, la nettezza dei contorni. Il procedere dell’artista si mantiene nel solco di un linguaggio consolidato che riesce ancora a rinnovarsi e a stupirci nel racconto della sua vita, della sua esperienza che ci viene restituita in immagini dove si respira e si avverte la Bellezza”. 

Eccellente disegnatore – notato sul finire degli anni Novanta, insieme ad altri coetanei,  all’Accademia di Belle Arti di #Catania dal maestro Franco Sarnari, allora titolare della cattedra di Pittura, che lo invita nel Gruppo di #Scicli – Colombo, 44 anni, alterna paesaggi e nature morte per tornare spesso al ritratto, al nudo. “Utilizza la fuliggine, il carboncino, la matita - continua Nifosì -  traendo spunto da foto dell’Ottocento. E’ del 2004 un ritratto di Degas, del 2009 un Nudo, che idealmente vuole essere un omaggio a Courbet, un altro Nudo verticale tratto da una foto dell’Ottocento: il corpo in questi casi emerge dall’oscurità potenziando la seduzione e il coinvolgimento. La sua tentazione dell’ombra, della sua ambiguità e del suo mistero, continua a ritornare anche negli oli e ne è un esempio Nudo al tramonto (2010), dove l’eros suggerito e alluso contiene il “memento mori” della Morte di Maria del Merisi”. Fra i paesaggi spicca “Marina di Modica”, “Un dipinto – dice Nifosì - che in parte è una dichiarazione di poetica riguardo alla sua idea di obiettività, proposta di sviluppi di volumi in profondità, di luci che ne definiscono le superfici, di sperimentazioni pittoriche in atto, anche in relazioni alla frequentazione dei suoi maestri diretti, #Guccione e #Sarnari e a memorie hopperiane”.

 

 

“Colombo – scrive Marco Goldin, nel catalogo della mostra “Il Gruppo di Scicli” (Conegliano, 2001) – rivela il suo talento nel riappropriarsi dell’evidenza visiva con uno sguardo penetrante, con lenti potentissime, animando di rinnovata energia ciò che lo sguardo percepisce, a dimostrazione che la poesia è possibile coglierla intorno a noi e che i poeti e gli artisti hanno la virtù di rivelarcela”.

Fra gli interventi nel catalogo dell’antologica di Modica, figura quello di Stefano Malatesta. Il giornalista e scrittore, estimatore dell’arte di Colombo, scrive: “Ci sono altri artisti che devono stare attenti alla loro straordinaria capacità tecnica che li può portare molto lontano, più lontano di quanto essi stessi vorrebbero. Giuseppe Colombo rientra in questo ristretto giro. Quando ho visto per la prima volta un suo disegno acquerellato, il soprannome che mi è venuto spontaneo da dargli è stato quello di Le magiciens du crayon.   Era una volpe uccisa e abbandonata lungo una strada di campagna. Vista con una prospettiva laterale, dava un senso di movimento anche se l’animale era morto. Un piccolo capolavoro. Io credo che Giuseppe sia uno dei migliori disegnatori italiani in assoluto”. 

Nel catalogo dedicato alla mostra, oltre al saggio del curatore Nifosì e di Stefano Malatesta – col quale Colombo ha realizzato nel 2012, a Roma, un’esposizione di opere di entrambi ispirate a una raccolta di racconti di Malatesta – figura quello di Massimo Blanco, docente di Letteratura Francese alla Sapienza di Roma.  Le immagini in catalogo sono del fotografo Gianni Mània.

Orari: dal lunedì al giovedì 10-20. Dal venerdì alla domenica ore 10-21. Ingresso 2 euro, gratis i minori di 12 anni.  Info 0932 946961

 

 

ESTRATTO dal saggio “La verità dello sguardo e la memoria dell’arte”

di Paolo Nifosì

    Si avverte aria nuova, una bel respiro di aria frizzante nelle opere di Giuseppe Colombo, una presenza, una partecipazione alla vita e all’arte contemporanea. Oramai sono 15 anni che Colombo è sulla scena; è nel centro della sua energia e della sua vitalità creativa, e con questa mostra si presenta alla sua città al pubblico dell’area iblea e della Sicilia.

Ha scelto come linguaggi il disegno e la pittura, linguaggi antichi e che per lui sono ancora strumenti possibili di raccontare il reale. Le premesse sono nel suo desiderio di dipingere fin dall’infanzia, la sua frequentazione di una scuola di grafica a Urbino, l’Accademia a Roma, attratto dalle mostre della galleria Sperone, ma ancor di più attratto dalle opere dei musei romani; una fase questa di tentennamenti, di incertezze nella strada da intraprendere, se essere coinvolto dalle sperimentazioni di una certa avanguardia o rispondere in modo affermativo a ciò che lo coinvolgeva di più, e cioè la pittura dei musei.

La sua scelta è fatta con la dichiarazione di volersi considerare un pittore coll’autoritratto del 2000, realizzato allo specchio all’interno di uno studio, a voler presagire il suo modo di lavorare, richiamandosi a tanti autoritratti storici. Coraggiosa scelta e ostinazione nel percorrere una strada che per secoli è stata considerata normale e che dal 1870 circa si è cominciata a mettere in discussione, con ragionamenti legittimi, per  carità, ma che lentamente e inesorabilmente si è allontanata dalla rappresentazione visiva della realtà, relegando le opere del Novecento in auratici spazi museali, assimilabili ai musei della scienza, legittimati per le scoperte e per le invenzioni, ma allo stesso tempo lontani dall’idea di bellezza su cui si è concentrata in gran parte la riflessione estetica occidentale (…).

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry