Spirito e anima eclettica del giornalismo ibleo. A me piace ricordarlo nella sua veste di scrittore, poeta e, soprattutto, di giornalista. Sicuramente nel “dove” senza tramonto e senza tempo si chiederà da dove provenga quella luce abbagliante che si staglia sulla sua fievole ombra. Allora, solo allora, vorrà intervistare quel “quid” che ha sempre ricercato nelle sue riflessioni terrene.
Riporto, qui di seguito, una delle ultime interviste rilasciatemi da Emanuele in occasione della pubblicazione del suo libro “Gatti della mia vita” (Ismecalibri, 2015, pp. 188):
Ma perché hai deciso di dedicare un libro ai gatti, tra narrazione e autobiografia?
“Ho deciso di scrivere un libro sui gatti nel momento in cui ho scoperto di essere diventato un vecchio che sta rasentando le ottanta primavere, anche se i miei capelli sono solo leggermente brizzolati, con la comparsa dei primi acciacchi. Con la consapevolezza di tale stato di cose ho avuto la sensazione della precarietà della vita, rendendomi conto che niente mi appartiene, che tutto mi è stato dato in prestito e dovrò restituirlo”.
Di qui l’esigenza di essere retrospettivo?
“Mi è venuto il desiderio di un riesame della mia vita, in un processo a ritroso con i luoghi e le persone con cui sono stato a contatto. E ho scoperto che il rapporto con le altre persone, a parte le eccezioni, è stato controverso, spesso negativo e, comunque, non sempre lineare. Ho pensato che, solo attraverso i gatti, avrei potuto ripercorrere la mia esistenza nella quale ci sono stati più gatti a cui sono stato legato, che persone a me care”.
Ricordo ancora quando mi fece omaggio di alcuni suoi volumi di poesie. Oggi, aprendo a caso uno di quei volumi, mi è capitata la seguente poesia:
“Talvolta vorremmo lasciarci dondolare dalla vita
con il ritorno dei ricordi e la scomparsa dei sogni
non sappiamo se domani ci sarà una rosa a sorriderci
o una spada d’argento presi dai giorni dirompenti
non troviamo il tempo di immaginarci o di guardarci
allo specchio per scorgere se qualcuno o qualcosa
ci attende sul filo che si accorcia quando aumentano
le cose da dire dall’alto delle memorie che affollano
lo spazio che ci resta e intanto viene costellato
di morti questo lungo percorso tra vuoti a perdere
e domande destinate a non avere risposte nel tempo
che lascia dietro di sé lampi di gesti immotivati
così tutto ci scivola tra le dita in un succedersi
di giorni implacabile come un orologio elettronico
che vorremmo fermare di cui non sappiamo il meccanismo”.
(da: “L’orologio elettronico”, 2006 )
Emanuele, rimarrai sempre nei nostri ricordi.
Giuseppe Nativo
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