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  • Autore: Salvo Micciché e Stefania Fornaro
  • Editore: Carocci Editore

Il Giornale di Scicli (n. 13 del 30 settembre 2018) ha pubblicato alle pp. 6 e 7 la recensione (“La storia di Scicli in un libro”), a firma di Concetta Ferma, della conferenza di presentazione del libro di Salvo Micciché e Stefania Fornaro, Scicli. Storia, cultura e religione (secc. V-XVI), Carocci Editore (2018, pp. 404).

Invitando i lettori a leggere la recensione nelle pagine dello storico quindicinale di Scicli, ne riportiamo qui una rielaborazione.

 

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Alla Croce un bel pomeriggio per parlare della storia di Scicli, con il nuovo libro di Carocci

 

«È stata una bella serata per la presentazione del libro di Salvo Micciché e di Stefania Fornaro “Scicli, storia cultura e religione (secc. V-XVI)”, Carocci Editore. Un corposo lavoro che mette ordine nella storiografia sulla città sviluppando cronologicamente dal V al XVI secolo. Una appassionata analisi di notizie sulla città dal Medioevo al Tardo Rinascimento. Bella serata per i contributi di studiosi giovani e meno giovani. Un libro, quello edito da Carocci, molto utile per quanti vogliono conoscere Scicli. Complimenti ai due autori», ha detto il prof. Paolo Nifosì, storico dell’arte, uno dei relatori del convegno che il Polo Regionale di Ragusa per i Siti Culturali (diretto dall’archeologo prof. Giovanni Di Stefano) ha organizzato, in collaborazione con il Comune di Scicli e Il Giornale di Scicli, per presentare il nuovo libro dedicato alla storia medievale di Scicli.

Con gli autori, lo scrittore Salvo Micciché e l’archeologa Stefania Fornaro, erano presenti gli studiosi che hanno presentato contributi nel libro (la numismatica Stefania Santangelo, il pubblicista Giuseppe Nativo e lo storico don Ignazio La China), il prof. Giuseppe Pitrolo (autore della Prefazione) e un folto gruppo di relatori: la prof. Salvina Fiorilla (medievista e archeologa), la dr. Anna Maria Sammito (archeologa della Soprintendenza di Ragusa), il prof. Paolo Nifosì (storico dell’arte, scrittore), Franco Causarano (direttore de Il Giornale di Scicli); hanno inviato saluti tre relatori che per ragioni istituzionali non hanno potuto essere presenti: prof. Pietro Militello (archeologo, Università di Catania), dr. Angela Maria Manenti (archeologa, Museo Paolo Orsi Siracusa) e il Soprintendente BBCC di Ragusa, arch. Calogero Rizzuto. Con loro e il prof. Giovanni Di Stefano, direttore del Polo Museale, anche il sindaco di Scicli, prof. Enzo Giannone (preside e storico).

Di Stefano, che in più volumi e ricerche si è occupato ampiamente di Scicli, ha sapientemente coordinato gli interventi e, dal canto suo (dopo l’inziale introduzione del prof. Enzo Giannone, sindaco della città di Scicli), ha presentato gli spunti principali del volume che si pone «una svolta tendente al riordino della storiografia su Scicli – ha detto –, come un punto di partenza per riscoprire la storia medievale della città e non a caso il luogo scelto per la presentazione, il Convento della Croce, è stato scelto come simbolo». «Questo volume, presentato qui al convento della Croce nell’ambito delle Giornate Europee del Patrimonio – ha continuato Di Stefano – ha un valore aggiunto in quanto rappresenta uno sforzo notevole che vuole imporre con forza lo studio e la rilettura della storia di Scicli… Il lavoro degli autori rimette ordine ad una storiografia di Scicli in gran parte legata al Carioti, una storiografia ora finalmente riordinata della Scicli medievale». Di Stefano ha poi evidenziato gli approfondimenti del volume, da parte degli studiosi che hanno collaborato con gli autori nel volume. Autori e studiosi che hanno cercato di dare nuove chiavi di lettura a problemi importanti nella storia di Scicli: il problema dell’abitato (dal colle al piano, ad es.) e il problema dell’incastellamento, ma anche il problema della presenza araba, come accennato.

Uno dei principali obiettivi degli autori, come ha sottolineato l’archeologa Anna Maria Sammito, era la collazione delle tante fonti sparse in vari libri importanti, da quelli degli eruditi del Sette e Ottocento (Carioti, Pacetto, Spadaro…) a quelle degli storici moderni (da Santiapichi e Cataudella a Barone, La China, Nifosì, Militello, ecc…), collazione che potrà servire agli studiosi che proprio in questi anni stanno riproponendo una rilettura della storia e dell’archeologia di Scicli (si pensi in primis ai nuovi scavi e studi sul Castello). Altro obiettivo era sfatare alcuni “miti” presi per buoni da alcuni scrittori ma poco credibili (spesso del tutto infondati), come la presenza di templi greci nel passato archeologico di Scicli (presunti templi di Cerere o “Bacco Milicio”), Casmene (che non è Scicli, come avrebbe voluto Perello) o l’operatività di una presunta “Zecca di Scicli” che la dr. Stefania Santangelo ha dimostrato (come già altri scrittori) essere inesistente, dovuta solo ad una errata lettura, da parti degli eruditi di monete con punzoni “SCL”, letti “patriotticamente” come “Scicli” mentre in effetti era solo la sigla di “Sicilia” a dimostrazione che trattavasi delle zecche di Catania e Siracusa.

Altra parte importante, come sottolineava Di Stefano, è un capitolo sulla toponomastica e l’onomastica, perché è chiaro che bisogna studiare anche i toponimi per capire la vera storia di un luogo, ad es. v’è un’aporia tra le quasi nulle fonti materiali sugli Arabi da un canto e dall’altro la statisticamente rilevante presenza di toponimi e cognomi direttamente collegabili alla lingua araba; Franco Causarano, tra l’altro, ricordava anche l’elencazione del libro di decine di personaggi di cui gli autori hanno voluto evidenziare la presenza perché la storia la fanno gli uomini, le cose e i luoghi, non solo le classi dirigenti e i “condottieri”. La storia di Scicli, dopo il periodo bizantino, arabo e arabo-normanno si compenetra con quella della Contea di Modica, di cui Scicli era parte importante, e in quel contesto gli archivi consentono, se pure in modo frammentario, di ricostruire storie di uomini, siano essi giurati, chierici (nel libro l’accento si pone molto sugli ordini mendicanti, per esempio), conti, capimastri e popolani i cui nomi, per varie ragioni, sono stati tramandati dalle fonti.

Paolo Nifosì ha evidenziato anche la necessità, in questo contesto, di una sempre pressante tutela del patrimonio monumentale e bibliografico, di quanto ancora rimane, sopravvissuto al terremoto del 1693, perché non è pensabile che la storia di Scicli da valorizzare sia solo quella post-terremoto e moderna. Enti pubblici e soprintendenze si debbono imporre per tutelare chiese, monumenti, palazzi simbolo della storia medievale di Scicli, si pensi allo stesso complesso monumentale della Croce, ma anche al palazzo Terranova - Cannariati, al convento di Sant’Antonino che recentemente sta avendo ulteriori crolli… Nifosì ha quindi messo in luce la rigorosa cronologia che gli autori hanno seguito nella parte storica del volume, anno per anno (ove vi sono notizie e fonti) per presentare al lettore evoluzione e cadute della città, crescita e involuzione, cambiamenti demografici, ecc…

Ignazio La China ha accennato anche a San Guglielmo (se ne parla nel libro) con l’importante rilettura fatta nei suoi due più recenti libri, il beato dalla cui storia la città non può (e non deve) prescindere, ma soprattutto anche all’opera di Giovanni Murifet, che proprio alla Croce operò e che andrebbe studiato ancora meglio. Stefania Santangelo ha illustrato i suoi interventi nel libro riguardo alla numismatica, e Giuseppe Nativo ha accennato ai suoi approfondimenti sulla presenza ebraica a Scicli fino al 1492, anno della diaspora anche in città (nel libro si cerca di dare anche risposte alla storia e ai toponimi relativi agli Ebrei nel territorio: da Bysmek a Sarliachim e delle contrade in cui doveva essere presente una “aliama” giudaica). Nativo ha poi accennato al suo studio sul terremoto del 1542, che con quello del 1169 fu altrettanto esiziale come quello del 1693 e contribuì ancora una volta a cambiare il volto della città.

Il libro, ha evidenziato la prof. Salvina Fiorilla, pone anche degli interrogativi cui vanno date risposte certe, oltre al riordino delle fonti, anche una loro puntuale critica e un discrimine per valorizzare le parti più importanti ed utili rispetto a certa tradizione data per scontata, ma che non lo è affatto.  A questi interrogativi va data quanto prima una risposta anche con nuovi studi e un rinnovato fervore medievista, se così si può dire, e gli autori hanno come obiettivo proprio questo: invitare i giovani studiosi a proporre altre ricerche partendo proprio dal volume e da questi interrogativi, perché si tratta di un libro da cui partire, non un testo che si pone come “definitivo”. Fiorilla e Sammito hanno messo in rapporto questi studi con il lavoro che si sta facendo al Castello, con l’apporto di due archeologi polacchi: nuovi scavi, nuovi materiali, nuove catalogazioni da fare che potranno confermare o smentire le fonti tramandate e di cui il libro si occupa approfonditamente.

Pitrolo ha fatto un breve excursus della storiografia che si è occupata di Scicli, da Mariano Perello “primo storico di Scicli” in poi ed ha evidenziato quegli aspetti che a suo modo di vedere sono le linee guide del libro.

Anna Maria Sammito ha posto in rilievo anche l’importanza della stessa collazione delle fonti, che può sembrare banale, ma che è invece molto utile agli archeologi i quali possono partire dal libro, usandolo come manuale.

Dopo gli interventi degli autori (Micciché e Fornaro), il sindaco di Scicli ha chiuso il convegno evidenziando, tra l’altro, che «è un libro interessante perché riesce a riportare le lancette dell’orologio molto indietro nel tempo, addirittura all’alto Medioevo e fornisce un livello scientifico alto fornendo informazioni che non avevamo o non erano state considerate a sufficienza».

Di Stefano e Pitrolo hanno anche fatto notare la presenza nel volume di due corposi indici analitici e di una estesa bibliografia, nonché le tantissime note che arricchiscono il volume.

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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