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Nelle chiare acque di un ruscello un ramo spezzato, immerso a metà e poggiato su una fitta e levigata ghiaia, si appresta ad affrontare il continuo divenire della corrente. Un dinamico fluire che simboleggia quello della vita non scevro di difficoltà.

È questa l’immagine emblematica della copertina su cui campeggia l’opera di Labar (olio su tela del 1981) che dà vita alla raccolta di poesie dello sciclitano Massimo Statello, “L’istinto del fiume” (Editrice Pungitopo, Marina di Patti, 2009, pp. 72). E non poteva essere diversamente visto il travagliato cammino di uomo intrapreso, sin da giovane età, dall’autore. Un percorso ad ostacoli, un “gibboso sentiero” come lo chiama Statello, che ha temprato non poco il suo animo.

Nato nello stesso anno in cui è dipinta la tela dell’artista messinese Labar impressa sulla copertina, del quale conserva il caldo animo siculo, Statello percorre un itinerario poetico attraverso cui esplora immagini ed esperienze che filtrano lo spessore e la sostanza della sua lirica. Elemento caratterizzante è l’uso di un linguaggio ormai in disuso che rievoca dimensioni letterarie d’altri tempi e che porta il lettore verso “l’illuni mondi lontani ed arcani”. Ma la lirica di Statello vola anche a misura d’uomo cogliendo l’intima essenza di attimi e impressioni. Nella sua silloge poetica, dove la parte biografica non di rado emerge dirompente, affiorano momenti e accadimenti squisitamente personali, quali la dipartita dei due nonni travolti da “acerba morte coatta” e chiamati ad abbandonare “il turbo essere / delle terree caratteristiche e circostanze”. Talora il verso assume una musicalità ironica che sembra stridere con i ricordi giovanili il cui pensiero “si dissolve nell’aria primaverile”. Nell’animo del poeta è ancora vivo il ricordo della separazione dei genitori, staccatisi “dal ramo fiorito”, che lascia l’amaro senso di un “supplizio temperato”. La vita, d’altronde, è fatta di attimi, di “celere baleno che nell’etra si dissolse” e da cui riecheggia un “profluvio d’irreali silenzi”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry