Libri

È una missiva molto garbata, ma anche un po' amara, quella che Salvatore Cosentino, fine scrittore di Mirabella Imbaccari, scrive a Gesualdo Bufalino il primo marzo 1988. Una lettera, fino ad oggi inedita, che prende luce e vita nella pubblicazione a stampa della sua recente fatica letteraria “Messaggi di lingue tagliate. Storie siciliane” (G. Onorati editore, Canterano-Roma, 2018, pp. 252), sorta di mosaico i cui tasselli di vita vissuta - talora sofferta e rassegnata, talaltra ironica e graffiante - incastonati nel murmure quotidiano di vita locale, forniscono abbondanti razioni di pillole di genuina e vetusta saggezza. Un insieme di racconti che sono rimasti per tanto tempo in un cassetto e che nella seconda metà degli anni ‘80 sono stati apprezzati tantissimo dallo scrittore casmeneo da trarne spunto per scrivere un elzeviro per “Il Giornale” di Montanelli e ispirazione per un capitolo de “La luce e il lutto” pubblicato dalla Sellerio nel 1988.

L’incontro con Bufalino, confessa il nostro, fu all’insegna di una “confidenzialità quasi familiare”. «Mi è piaciuto anche il titolo Lingue tagliate utilizzato dal “Giornale”», aggiunge con emozione Cosentino. Proprio da quel titolo trae origine quello dato adesso al suo recente libro che, con le sue dimensioni un po' ridotte, si presta molto bene a stare in borsa e magari leggerlo in pullman.

L’opera è ricca di graziose pennellate narrative e, soprattutto, di sensazioni. Emozioni narrate e raffigurate in maniera letteraria da fare apprezzare ancora di più la Sicilia verde del carrubo, quella bionda del miele, evocando sensazioni bufaliniane e quasi a superarle. Quella di Cosentino è una quotidianità siciliana ricca di sfaccettature. Nei suoi mini-racconti, da leggere tutto d’un fiato, trova giusta collocazione quella “umanità minore” che non fa cronaca a cui è restituita una dignità. Una “umanità minore” che “soffre e gioisce in decoroso silenzio”, che ha, appunto, la “lingua tagliata”, soffocata, impedita. In questa dimensione lo scrittore mirabellese si fa portavoce, in maniera puntuale e graziosa e talora delicata, dei “messaggi” di questa “umanità minore” rappresentata dai personaggi raccontati, dai loro modi di fare, da quello che dicono, dai loro volti, che vanno a “sintetizzare un romanzo non ancora narrato”.

In questi racconti, ritagliati su misura dalla sapiente forbice letteraria dello scrittore mirabellese, anche gli oggetti assumono una loro personalità come lo “specchio guardone” di un negozio di abbigliamento che sente l’incalzante bisogno di dare sfogo a non poche emozioni represse in lunghi anni di attività. Pure i luoghi sembrano avere un’anima come la “piazzetta dello speziale” (esistente in quel di Mirabella Imbaccari) che trae la sua intitolazione proprio per la presenza dell’ottocentesca farmacia del paese, di proprietà del nonno paterno dell’autore, crogiolo tra l’altro di critica politica dai toni pungenti pro o contro i Borboni, o di notizie anticlericali finte che avevano come obiettivo il parroco.

Quelli di Salvatore Cosentino sono echi le cui tracce sono ancora presenti nelle piccole realtà cittadine, dove ancora è possibile respirare un’atmosfera a misura d’uomo. Realtà urbane in cui i “fatti reali” vanno a “superare la fantasia” senza azioni di disturbo che pervengono dal caos delle grandi città. 

Giuseppe Nativo

 

Profilo biografico

Salvatore Cosentino è nato a Mirabella Imbaccari, in territorio etneo, dove vive. Fin dal 1956 si occupa di storia della Sicilia, di sociologia, di narrativa e di teatro, pubblicando oltre trentacinque libri. Ha diretto l’Istituto di Sociologia “Luigi Sturzo” di Caltagirone, dove ha istituito la prima cattedra in Sicilia di Scienze delle relazioni pubbliche a indirizzo pragmatista. Ha collaborato con la Rai e con vari quotidiani tra cui “Il Giornale”, il “Corriere della Sera”, “La Sicilia”.

Ha tenuto seminari di studio e di ricerca in diverse università italiane e straniere. Ha tenuto, altresì, seminari di Sociologia dell’emigrazione presso l’Istituto di Antropologia culturale dell’Università “Goethe” di Francoforte sul Meno.

Riconoscimenti per la scrittrice Marinella Tumino 

Ancora apprezzamenti per Marinella Tumino, scrittrice iblea e prof molto amata dai suoi studenti in quanto parla e sta insieme a loro come se fosse la loro mamma. Il suo compito, oltre che formativo, è anche quello di guidare i suoi ragazzi al fine di creare tutti i presupposti perché essi possano diventare adulti consapevoli, responsabili e attivi nella società civile.

Oltre ai suoi studenti Marinella Tumino parla anche ai suoi lettori e lo fa attraverso i suoi volumi che in questi anni ha dato alle stampe. La sua recente fatica letteraria, “L’Urlo del Danubio – Viaggio dell’anima sui binari della memoria storica” (Operaincerta Editore, Ragusa, 2018, pp. 128), attraverso la quale la scrittrice ragusana ripercorre narrativamente il dramma dalla Shoah con un viaggio immaginario in alcuni dei luoghi simbolo in cui si è consumata la terribile tragedia del nazismo, in pochi mesi ha riscosso vasti consensi anche in ambito nazionale.

Nei giorni scorsi le sono pervenuti non pochi attestati volti a riconoscere non solo il valore letterario del volume ma anche la carica umana ed emotiva che emerge dirompente dal testo narrativo. Il primo riconoscimento è arrivato da Papa Francesco che - per il tramite la Segreteria di Stato - ha fatto pervenire “espressioni di affetto e spirituale vicinanza” formulando gratitudine per il lavoro svolto dalla Tumino.

Anche il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha espresso riconoscenza all’autrice per la sua opera per la sua “passione e impegno”.

Infine, è di questi giorni la gratitudine formulata dalla senatrice a vita Liliana Segre, deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e sopravvissuta agli indicibili orrori dello sterminio ebreo. Così scrive: “Gentile Marinella, le sono grata per il libro che ha voluto gentilmente donarmi. Lo leggerò senz’altro nel poco tempo libero che ultimamente mi trovo a gestire. Ammiro il suo impegno nel trattare con professionalità e sensibilità il triste tema della Shoah. Anche a nome di coloro che non sono tornati le esprimo la mia più profonda stima e riconoscenza. Liliana”. 

Redazione

Alla Casa Museo Antonino Uccello di Palazzolo Acreide, giovedì 17 maggio 2018 alle 17 si presenta il libro di Emanuele Lelli, Pastori antichi e moderni - Teocrito e le origini popolari della poesia bucolica, OLMS.

Sarà presente Emanuele Lelli (Università della Sapienza, Roma). Saluti di Salvatore Cangemi (Casa Museo Antonino Uccello). Intervengono: Lorenzo Guzzardi (Direttore del Polo Regionale di Siracusa per i siti culturali), Mario Sarica (Fondatore Museo Cultura e Musica Popolare dei Peloritani), Rosario Acquaviva (Fondatore Museo I luoghi del lavoro contadino).

In conclusione la musica di Drago Perello (flauto doppio di canna).

Un dono dalla Comunità di San Leolino  

 

Ecco un modo intelligente e divertente di portare Pinocchio a scuola! Sì, il burattino tra i ragazzi di carne e ossa non ha subìto l'onta di esservi trascinato per le orecchie lunghe da asino! Era ora. Lo ha fatto, da pari suo, Giovanni Meucci con la commedia musicale in due atti, Pinocchio (Edizioni “Feeria”, 2018), collaborato da Francesco Romano, compositore delle musiche originali.

Personaggio gioiosamente anarcoide e spassosamente protestatario, talora spaesato e ingenuamente indifeso, ancorché spaccone con una sua sapienzialità di comodo, del tipo Cicero pro domo sua, Pinocchio può impersonare tanto le contraddizioni e i colpi di testa dell'adolescente disadattato e/o plagiato, quanto i rimorsi dell'adulto che persiste nei suoi errori, pur riconoscendoli come tali, ma che nel suo intimo aspira a vivere da benpensante. Ed è proprio quando la creatura umana viene finalmente fuori che il nostro personaggio potrà concepire la famosa battuta - insieme presa di distanza e rifiuto di ciò che era stato - : “Com'ero buffo quand'ero burattino!”. Una battuta che sconfessa e condanna la macchia del “peccato d'origine”. Bene, è allora che si potrà dire che la sofferenza è grazia; ed infatti alla grazia segue la catarsi, la redenzione. C'è tutto, infatti, nell'allegoria collodiana che impersona Pinocchio, ed è questo Pinocchio: una creatura prima e dopo la grazia! Non è infatti difficile individuare e mettere in luce tratti esistenziali che lascino intravvedere un sofferto percorso di umanizzazione e perfino, se si vuole, metafisico (la fatina: il bene contro il male!), a dispetto di atteggiamenti scanzonati e burloni, che pure sono la perla del romanzo collodiano, mettendo in risalto la ribellione, come rifiuto interiore, verso la propria condizione di persona “cosizzata”, che per grazia diviene creatura umana, finalmente libera e liberata dalla scorza ruvida della “pinocchite” che ci imprigiona con l'arma della seduzione e lascia spazio a un maldestro uso ludico del libero arbitrio che detesta i “grilli parlanti,”: viene meno, insomma, la facoltà di autodeterminazione di fronte alle lusinghe tentatrici del Paese dei Balocchi. C'è sempre un Lucignolo che ci mette alla prova. E ciò che duole è che anche oggi i ragazzi sognano un paese dei balocchi per il loro chiasso quotidiano e balordo “dalla mattina alla sera!” o fino all'alba come vuole lo sballo delle nuove generazioni che bruciano la loro vita nelle discoteche.

Mi pare che questo burattino di Giovanni Meucci, così ben centrato dalla penna critica di Carmelo Mezzasalma nel saggio Musica per Pinocchio, apra alla riflessione sull'attualità e sul destino futuro della “pinocchite”, che ammorba (la cronaca ce ne dà atto, e la Scuola deve avere più polso!) tanti giovani di oggi ai quali, forse, sarà negato il privilegio di potere esclamare con compiaciuta convinzione: “Com'ero buffo quand'ero burattino!”.

Non c'era soluzione più idonea di questa per farci riflettere sull'importanza pedagogico-didattica di innovare la Scuola attraverso la scrittura creativa, che apre ai ragazzi nuove e più efficaci strade di apprendimento e di riflessione, reinventando situazioni narrative attraverso la drammatizzazione di brani della grande letteratura otto/novecentesca. 

Giovanni Occhipinti

Toccare i punti più reconditi e sensibili “della nostra interiorità”, magari seguendo un percorso di apprendimento attraverso simboli e simbologie – stratificati nel tempo e ripescati dalle pieghe della conoscenza - per ritrovare una dimensione che da quella umana possa farci traghettare in quella dell’inesplicabile, sorta di zona franca il cui sguardo va oltre l’immediatamente verificabile, è certamente un viaggio arduo e periglioso. Una sorta di viaggio esoterico fatto attraverso le pagine della vita che si incuneano nella Storia dell’Uomo, nella sua conoscenza acquisita

E’ in quest’ottica che s’inquadra il libro di Federico Guastella, “Pagine esoteriche” (Gruppo editoriale Bonanno Srl, Acireale-Roma, 2017, pp. 128), i cui argomenti vanno letti “secondo il filo conduttore di una visione esoterica della vita”. Dunque, un iter esoterico recepito però nell’accezione intesa dalla filosofia antica, ovvero gravido di insegnamenti e dottrine senza alcun carattere segreto ma oggetto di divulgazione, e destinato ai “discepoli”, nella fattispecie ai lettori, e in forma acroamatica di aristotelica memoria. E non poteva essere diversamente visto che l’autore ha percorso un buon tratto della sua vita ad insegnare, cioè trasmettere conoscenza (Scienze umane e Storia) nelle scuole del capoluogo ibleo dove trascorre il suo tempo libero a scrivere racconti e poesie.

Nel susseguirsi delle varie e articolate discettazioni, l’autore – con stile fluido, puntuale e con la corda intellettiva e allenata di chi per anni si è prodigato ad insegnare, nel senso letterale del termine, ovvero “imprimere segni (nella mente)” – fornisce molteplici possibilità “di intravedere quali siano gli apporti simbolici utili a intraprendere” questo viaggio (inteso come viatĭcum). Un itinerarius che possa consentire di “spingerci oltre”, come annota il prefatore Federico Sinopoli. Un andare “oltre”.

Sette le tematiche affrontate che assumono le connotazioni della sacralità del numero che rappresenterebbe il cosmo, la sua perfezione e totalità. Attraverso l’intreccio di simboli e simbologie Federico Guastella ci presenta delle polisemie, “delle indefinizioni in luogo di definizioni”, cercando la coesistenza, in uno stesso σύμβολον (“segno”), di significati diversi. Basti pensare al piano anagogico attraverso cui è affrontato il “viaggio” di Dante che “frequentemente si serve del simbolismo della navigazione o della peregrinazione come opportunità di rivisitazione interiore in cui il riconoscersi” si intreccia con il “conoscere”. Una conoscenza che per Giordano Bruno “si fonda sullo sforzo di vedere l’invisibile”. “Conoscere” significa anche “vedere per immagini”. Da qui la nascita della “poesia visiva”, che possa ampliare la visione della vita, attraverso l’uso simbolico dei Tarocchi che – secondo Jung - contribuiscono “ad aprire le porte interiori” della psiche. Essi rappresentano “immagini psicologiche, simboli con cui si gioca, come l’inconscio sembra giocare con i suoi contenuti”.

In questo itinerario l’azione svolta dall’autore sta anche nella sua attività intellettuale di esploratore, ripercorrendo ciò che ha fatto l’uomo nel procedere, passo dopo passo, nel corso dei secoli, nell’ambizioso fine della ricerca della conoscenza, attraverso “le corde, nascoste ma sensibili, della nostra interiorità sollecitandoci a scoprirne, esotericamente, il segreto che essa racchiude e conserva”.

Giuseppe Nativo

 

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Federico Guastella 

Paternese di nascita, etneo di animo e ibleo di cuore, Guastella raccoglie nel suo Dna la secolare essenza del balcone di Sicilia essendo vissuto, fin dalla tenera età, a Chiaramonte Gulfi (da cui era originario il padre, pronipote dello scrittore Serafino Amabile Guastella).

Un buon tratto della sua vita è percorso ad insegnare Scienze umane e Storia nelle scuole del capoluogo ibleo dove trascorre il suo tempo libero a scrivere poesie, racconti e saggi.

Nel 1998 ha dato alle stampe il racconto lungo “La casa di campagna”; nel 2001 “Una notte d’estate e altri racconti”. Nel 2009 ha pubblicato il volume di poesia “Nel tronco incavato”. Sono del 2012 la raccolta di poesie “Geroglifico”, nonché il racconto (in collaborazione), “Colapesce”.

Altre raccolte poetiche: “Nuvole” (2013); “Tu, mio giorno e mia notte” (2014).

Il volume “Chiaramonte Gulfi – La mia diceria” è apparso nel 2014. E’ del 2015 la silloge “Almanacco”. Nello stesso anno è apparso il saggio “Andrea Camilleri, guida alla lettura”. La silloge poetica “Anima mia” è del 2016.

La casa editrice Bonanno gli ha pubblicato, nel mese di maggio 2016, il volume “Fra terra e cielo – Miscellanea di saggi brevi con Gesualdo Bufalino”. E’ del 2017 la stampa della raccolta poetica “Segni” (Urso editore, Avola). Nello stesso anno ha pubblicato i saggi: “Serafino Amabile Guastella – La vita e le opere”; “Il mito e il velo”, “Pagine esoteriche” (Bonanno editore).

 

 

Dedicati ai figli Marzio e Alessandro, questo purtroppo non più con noi, escono nel Granducato di Lussemburgo due volumi di versi di Mimmo Morina, siciliano di Villafrati, a cura della moglie Nelleke Oostveen, partner di primo piano nelle attività culturali e editoriali di cui Mimmo fu grande, instancabile ed entusiasta sostenitore, si pensi alla storica rivista letteraria “Nuova Europa” e ai Convegni Mondiali.

Significativi e intriganti, per la loro allusività e il furor polemico, i titoli: Bordereau (Il trionfo dei simulacri), Eurocratismo (Per un'Europa senza Burocrazia), 1970-1998.

Morina, deceduto nel 2005, ha lasciato migliaia di versi che certamente vedremo nei prossimi anni; ma intanto leggiamo questi, prefati da Myo Kapetanovich, che mi fu amico negli anni della mia frequentazione del Granducato, insieme a quelli che poi divennero i miei traduttori Pierre Roller e Eugène Van Itterbek, quando organizzavamo il Premio “Ragusa-Un Ponte per l'Europa” con l'intervento dell'Università Popolare di Ragusa, presieduta dal fondatore, l'Accademico Francesco Pisana, e con la collaborazione della rivista di cultura letteraria, “Cronorama”, fondata da chi scrive, diretta con Giorgio Bàrberi Squarotti e aperta alla collaborazione dei maggiori rappresentanti della Letteratura del Secondo Novecento italiano ed europeo, da Giuliano Manacorda a Jean-Paul Klée a Eugène Guillevic.

Erano anche i tempi dei Congressi Internazionali curati, con molto savoir faire, dal caro Mimmo, allora funzionario del Parlamento Europeo, del quale fu anche severo censore.

Molti di questi versi nascono infatti dalla sua posizione di censore, che ricorre allo strumento della Satira per scagliare i suoi strali contro la Burocrazia che, a suo dire, danneggia l'Europa: non per niente dei burocrati, che il Nostro definisce Eurocrati, dice: “[...]/quelli che 'Europa non la fanno //[...]”.

 

Vediamo allora cosa accadrà nel corso di questa mia lettura dei suoi versi. Cercheremo di affrontare con divertito interesse l'asprezza di questi versi di Mimmo Morina. Mi pare di ascoltarne le parole infarcite di sicilianismi, per un omaggio alla sua Sicilia, quando nella sua Lussemburgo, o a Palermo o a Firenze o a Ragusa, mi parlava con risentimento degli eurocrati e dell'eurocratismo, epperò doveva eseguire - obtorto collo - quegli adempimenti burocratici, sempre più invisi e mal tollerati, di cui, da funzionario del Parlamento Europeo, era responsabile.

Non sorprendono allora, questi due libri “arrabbiati”, i cui epigrammi hanno precisi destinatari, e Mimmo come un valente moschettiere di Kappa e spada tra un affondo e l'altro, può orchestrare a chiare lettere o per antifone una sua polemica con riferimenti o allusioni a quelli che definisce “esponenti della burocrazia dei simulacri” responsabili della politica europea. Citerei in proposito Sciacalli, Gabinettame e altri testi poetici come Smacco, Nota ad un Direttore Generale, con quell'incipit, “Mio carissimo stronzetto”, che è un vero e proprio attacco al personaggio o, se vogliamo, all'eurocrate.

Da versi così non si salva nessuno: quanto risentimento c'è dentro e rabbia quasi persecutoria. Basterà leggere del secondo volume, Il seme di Caino e L'intrigo o Ceca è la fortuna, Fame. In questi e tantissimi altri versi, Morina stempera nello sfogo la propria rabbia, come per esempio avviene nella sezione Poema per un'epopea... 1992, sorta di diario in versi tra Strasburgo e Barcellona.

Questi autorevoli -o cosiddetti tali- personaggi europei mandati alla malora lungo lo scivolo di versi insidiosi che vanno a pungere il didietro di tanti ignoti eurocrati, mal digeriti dal nostro poeta siculo europeo.

La poesia sempre accesa ed epigrammaticamente aggressiva di Mimmo Morina, qui tende a narrativizzare la sfrontatezza di situazioni politiche che non hanno sbocco, nessun avvenire, intasate come sono in un inevitabile cul de sac, in cui rischia sempre di incappare la politica europea, specie se ha da fare i conti con l'Italia.

 

Riassumendo, Morina è poeta polemista. Caustico e risentito autore pamphlétaire, alimenta la propria coscienza di cosmopolita al grottesco e al paradosso, sparando a zero sulla deludente e travagliata realtà europea. Penso ai componimenti A canne mozze, libro di feroci epigrammi sull'eurocratismo, sulla degenerazione dell'idea di Europa unita che sembra però concludersi nella crasi o contrazione di “Europa più burocrate”, al di là del significato etimologico di “eurocrate”.

“Racconto” satirico, dunque, che proprio un “eurocrate” malgré lui va scrivendo dalla sua sede lussemburghese e dalla posizione spesso scomoda di funzionario europeo, costretto a vivere il ruolo inerte di un europeista che continuerà a vagheggiare un'Europa in grado di fronteggiare il malessere degli Stati e a questi oppone il sogno della dimensione edenica di una terra -la sua Isola- amnio (Sei tu la terra, 1970; Hiera, 1980; Poîemata, 1986).

Come si vede, il suo viaggio nel mito ha come riferimento l'Ulissismo Omerico, che però non perde di vista il ritorno ai nostoi dopo il viaggio nel Mito.

 

Giovanni Occhipinti

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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