- Rubrica: I luoghi e la memoria
Ragusa, 20 agosto 2020 — Mi è arrivato un invito elettronico. Nel gruppo “Whatsapp” di amici, nel quale uno di noi ha postato una locandina/invito. «Si invita ad una serata che sarà certamente piacevolissima: degustazioni di cibi e di vini al tramonto...» A Mazzarelli, pardon, …Marina di Ragusa.
Essendo astemio non ho preso subito in considerazione tale invito. L’ho visto, sì, ma non l’ho guardato; solo dopo, focalizzando, ho notato che tale bella iniziativa è curata da una associazione della quale non posso riferire il nome. Nessuna pruderie, nessun problema a fare pubblicità. Semplicemente precauzione, perché non voglio querele e il mio avvocato si sta godendo le ferie.
Questa associazione ha un nome in lingua italiana, che, se fosse stato in lingua siciliana, sarebbe stato qualcosa di simile a “i futtina”, vicinissimo all’italiano “i fortini”.
Esatto, le installazioni militari, di ogni tempo e luogo.
In caso di dubbi, il logo della associazione mostra la stilizzazione – ma nemmeno tanto – di quei fortini costruiti dal Regio Esercito Italiano per contrastare la prevista invasione degli Anglo-Americani nella Seconda guerra mondiale. E in effetti contrastarono quello sbarco all’alba del 10 luglio 1943. Un contrasto durato troppo poco, per la enorme differenza di numeri, armi, equipaggiamenti, stato mentale tra gli italo-tedeschi e quelli che parlavano inglese più o meno puro.
In quei fortini, disseminati a centinaia in tutta la Sicilia, trovarono la morte centinai di soldati italiani e tedeschi, e nei loro dintorni morirono anche inglesi e americani, canadesi e neozelandesi. Qualche decina.
Non ho nulla contro le iniziative che mettono in moto l’economia, quale che sia la scala. Sono favorevolissimo a inventare nuovi lavori. Anzi, mi spendo in tal senso. Epperò la memoria, a mio avviso, è sacra. In quelle strutture militari si deve onorare la memoria dei caduti. Di giovanissimi soldati, figli di madri, che combatterono conoscendo già l’esito della battaglia. Con tutto il rispetto – sincero – per le “bollicine”, gli apericena e quanti giovani (della stessa età dei loro nonni che nel 1943 combatterono coi moschetti e morirono) lavorano nel settore, ritengo poco opportuno – per carità, legittimo e per certi versi anche comprensibile – utilizzare quei simboli di guerra, violenza e morte per iniziative che collocherei, per fortuna, dalla parte opposta. Intendo dire che se oggi possiamo – nonostante il Covid – riunirci e spensierati festeggiare, brindare, salutare un tramonto di pace, lo dobbiamo in massima parte a quei ragazzi che nei fortini persero la vita, come i loro commilitoni in Russia e nelle trincee del Carso, ad El Alamein e in contrada Camemi sulla Ragusa-Marina di Ragusa. Rispetto per la memoria del passato, ne va del nostro futuro.
Saro Distefano