Al matrimonio (ph salvomic / Biancavela Press)

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  • Rubrica: Spigolando

Ragusa, 31 agosto 2021 — Scoppierà; prima o poi scoppierà la rivolta dei nonni. Le pantere grigie sono già adesso sul piede di guerra (ma al momento solo a parole) contro i telefoni cellulari, più precisamente contro gli smartphone e le loro microcamere.

Perché saranno anche micro, ma le lenti fotografiche dei moderni cellulari sono in grado di fare foto bellissime, anche in mano a totali analfabeti informatici come me.

Perché l’ostilità verso la moderna tecnologia? Ché pure loro, i nonni, utilizzano con grande beneficio quand’è necessario chiamare per un’urgenza, o semplicemente sentire il figlio che lavora fuori o, certo in casi meno frequenti, utilizzare il navigatore per raggiungere una strada.

Ma i nonni – almeno quelli che hanno già compiuto gli ottanta anni e comunque con poca dimestichezza verso gli apparati che i mastrisi chiamano ‘device’ – reclamano una cosa semplicissima, garantita e assicurata fino a non oltre un decennio fa. Vogliono, cioè, poter vedere le fotografie dei nipoti. Vogliono l’album vecchia maniera. Vogliono la fotografia stampata su carta fotografica. Vogliono poter scegliere la più bella e metterla in cornice e poi sistemarla sulla credenza della cucina e sul mobile buono della sala da pranzo. Vogliono fare quello che hanno fatto le tre precedenti generazioni, sia di ricchi nobili o altoborghesi che il popolo minuto, ché nemmeno nei dammusi di via Carrubbelle a Ragusa, o alla Vignazza a Modica, o in via Loreto a Scicli mancava mai la foto della prima comunione di Giovanni, o della cresima di Giorgio, o dello sposalizio di Bartolomea.

E invece adesso abbiamo un milione di foto nella memoria di ciascun nostro smartphone, ma nemmeno una che sia stampata e incorniciata a casa dei nonni.

Mi rendo conto: è una minciata sottolineare il fatto, di per sé poco importante, poco impattante, specie di questi tempi difficilissimi, per certi versi tragici. Epperò sarà perché non posso più sopportare mia madre che reclama foto di suo nipote, «u picciriɖɖu», sarà perché mi avvicino all’età del nonno e temo, nonostante adesso io sia ancora in grado di fare foto col mio iPhone, di dover inseguire una tecnologia che chissà cosa ci riserverà già nei prossimi anni, sarà perché proprio i tempi tristissimi reclamano maggiori conforti – e per un nonno novantenne, chiuso in casa col terrore del virus, la foto della nipotina col vestito bianco sulle scale della Nunziata a Comiso è sollievo, è puro ossigeno –, sarà perché approfitto del direttore di Ondaiblea, quel tale Salvo Miccichè che di foto s’intende molto ed utilizza, beato lui, una Leica, che è come dire la Ferrari delle macchine fotografiche. Insomma, sarà per tutto questo ed altro, ma mi sentivo di scrivere quanto sopra, sperando mia madre mi possa perdonare.

 

Saro Distefano

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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