Sapere

Alla Casa Museo Antonino Uccello di Palazzolo Acreide, giovedì 17 maggio 2018 alle 17 si presenta il libro di Emanuele Lelli, Pastori antichi e moderni - Teocrito e le origini popolari della poesia bucolica, OLMS.

Sarà presente Emanuele Lelli (Università della Sapienza, Roma). Saluti di Salvatore Cangemi (Casa Museo Antonino Uccello). Intervengono: Lorenzo Guzzardi (Direttore del Polo Regionale di Siracusa per i siti culturali), Mario Sarica (Fondatore Museo Cultura e Musica Popolare dei Peloritani), Rosario Acquaviva (Fondatore Museo I luoghi del lavoro contadino).

In conclusione la musica di Drago Perello (flauto doppio di canna).

Un dono dalla Comunità di San Leolino  

 

Ecco un modo intelligente e divertente di portare Pinocchio a scuola! Sì, il burattino tra i ragazzi di carne e ossa non ha subìto l'onta di esservi trascinato per le orecchie lunghe da asino! Era ora. Lo ha fatto, da pari suo, Giovanni Meucci con la commedia musicale in due atti, Pinocchio (Edizioni “Feeria”, 2018), collaborato da Francesco Romano, compositore delle musiche originali.

Personaggio gioiosamente anarcoide e spassosamente protestatario, talora spaesato e ingenuamente indifeso, ancorché spaccone con una sua sapienzialità di comodo, del tipo Cicero pro domo sua, Pinocchio può impersonare tanto le contraddizioni e i colpi di testa dell'adolescente disadattato e/o plagiato, quanto i rimorsi dell'adulto che persiste nei suoi errori, pur riconoscendoli come tali, ma che nel suo intimo aspira a vivere da benpensante. Ed è proprio quando la creatura umana viene finalmente fuori che il nostro personaggio potrà concepire la famosa battuta - insieme presa di distanza e rifiuto di ciò che era stato - : “Com'ero buffo quand'ero burattino!”. Una battuta che sconfessa e condanna la macchia del “peccato d'origine”. Bene, è allora che si potrà dire che la sofferenza è grazia; ed infatti alla grazia segue la catarsi, la redenzione. C'è tutto, infatti, nell'allegoria collodiana che impersona Pinocchio, ed è questo Pinocchio: una creatura prima e dopo la grazia! Non è infatti difficile individuare e mettere in luce tratti esistenziali che lascino intravvedere un sofferto percorso di umanizzazione e perfino, se si vuole, metafisico (la fatina: il bene contro il male!), a dispetto di atteggiamenti scanzonati e burloni, che pure sono la perla del romanzo collodiano, mettendo in risalto la ribellione, come rifiuto interiore, verso la propria condizione di persona “cosizzata”, che per grazia diviene creatura umana, finalmente libera e liberata dalla scorza ruvida della “pinocchite” che ci imprigiona con l'arma della seduzione e lascia spazio a un maldestro uso ludico del libero arbitrio che detesta i “grilli parlanti,”: viene meno, insomma, la facoltà di autodeterminazione di fronte alle lusinghe tentatrici del Paese dei Balocchi. C'è sempre un Lucignolo che ci mette alla prova. E ciò che duole è che anche oggi i ragazzi sognano un paese dei balocchi per il loro chiasso quotidiano e balordo “dalla mattina alla sera!” o fino all'alba come vuole lo sballo delle nuove generazioni che bruciano la loro vita nelle discoteche.

Mi pare che questo burattino di Giovanni Meucci, così ben centrato dalla penna critica di Carmelo Mezzasalma nel saggio Musica per Pinocchio, apra alla riflessione sull'attualità e sul destino futuro della “pinocchite”, che ammorba (la cronaca ce ne dà atto, e la Scuola deve avere più polso!) tanti giovani di oggi ai quali, forse, sarà negato il privilegio di potere esclamare con compiaciuta convinzione: “Com'ero buffo quand'ero burattino!”.

Non c'era soluzione più idonea di questa per farci riflettere sull'importanza pedagogico-didattica di innovare la Scuola attraverso la scrittura creativa, che apre ai ragazzi nuove e più efficaci strade di apprendimento e di riflessione, reinventando situazioni narrative attraverso la drammatizzazione di brani della grande letteratura otto/novecentesca. 

Giovanni Occhipinti

Toccare i punti più reconditi e sensibili “della nostra interiorità”, magari seguendo un percorso di apprendimento attraverso simboli e simbologie – stratificati nel tempo e ripescati dalle pieghe della conoscenza - per ritrovare una dimensione che da quella umana possa farci traghettare in quella dell’inesplicabile, sorta di zona franca il cui sguardo va oltre l’immediatamente verificabile, è certamente un viaggio arduo e periglioso. Una sorta di viaggio esoterico fatto attraverso le pagine della vita che si incuneano nella Storia dell’Uomo, nella sua conoscenza acquisita

E’ in quest’ottica che s’inquadra il libro di Federico Guastella, “Pagine esoteriche” (Gruppo editoriale Bonanno Srl, Acireale-Roma, 2017, pp. 128), i cui argomenti vanno letti “secondo il filo conduttore di una visione esoterica della vita”. Dunque, un iter esoterico recepito però nell’accezione intesa dalla filosofia antica, ovvero gravido di insegnamenti e dottrine senza alcun carattere segreto ma oggetto di divulgazione, e destinato ai “discepoli”, nella fattispecie ai lettori, e in forma acroamatica di aristotelica memoria. E non poteva essere diversamente visto che l’autore ha percorso un buon tratto della sua vita ad insegnare, cioè trasmettere conoscenza (Scienze umane e Storia) nelle scuole del capoluogo ibleo dove trascorre il suo tempo libero a scrivere racconti e poesie.

Nel susseguirsi delle varie e articolate discettazioni, l’autore – con stile fluido, puntuale e con la corda intellettiva e allenata di chi per anni si è prodigato ad insegnare, nel senso letterale del termine, ovvero “imprimere segni (nella mente)” – fornisce molteplici possibilità “di intravedere quali siano gli apporti simbolici utili a intraprendere” questo viaggio (inteso come viatĭcum). Un itinerarius che possa consentire di “spingerci oltre”, come annota il prefatore Federico Sinopoli. Un andare “oltre”.

Sette le tematiche affrontate che assumono le connotazioni della sacralità del numero che rappresenterebbe il cosmo, la sua perfezione e totalità. Attraverso l’intreccio di simboli e simbologie Federico Guastella ci presenta delle polisemie, “delle indefinizioni in luogo di definizioni”, cercando la coesistenza, in uno stesso σύμβολον (“segno”), di significati diversi. Basti pensare al piano anagogico attraverso cui è affrontato il “viaggio” di Dante che “frequentemente si serve del simbolismo della navigazione o della peregrinazione come opportunità di rivisitazione interiore in cui il riconoscersi” si intreccia con il “conoscere”. Una conoscenza che per Giordano Bruno “si fonda sullo sforzo di vedere l’invisibile”. “Conoscere” significa anche “vedere per immagini”. Da qui la nascita della “poesia visiva”, che possa ampliare la visione della vita, attraverso l’uso simbolico dei Tarocchi che – secondo Jung - contribuiscono “ad aprire le porte interiori” della psiche. Essi rappresentano “immagini psicologiche, simboli con cui si gioca, come l’inconscio sembra giocare con i suoi contenuti”.

In questo itinerario l’azione svolta dall’autore sta anche nella sua attività intellettuale di esploratore, ripercorrendo ciò che ha fatto l’uomo nel procedere, passo dopo passo, nel corso dei secoli, nell’ambizioso fine della ricerca della conoscenza, attraverso “le corde, nascoste ma sensibili, della nostra interiorità sollecitandoci a scoprirne, esotericamente, il segreto che essa racchiude e conserva”.

Giuseppe Nativo

 

*** 

Federico Guastella 

Paternese di nascita, etneo di animo e ibleo di cuore, Guastella raccoglie nel suo Dna la secolare essenza del balcone di Sicilia essendo vissuto, fin dalla tenera età, a Chiaramonte Gulfi (da cui era originario il padre, pronipote dello scrittore Serafino Amabile Guastella).

Un buon tratto della sua vita è percorso ad insegnare Scienze umane e Storia nelle scuole del capoluogo ibleo dove trascorre il suo tempo libero a scrivere poesie, racconti e saggi.

Nel 1998 ha dato alle stampe il racconto lungo “La casa di campagna”; nel 2001 “Una notte d’estate e altri racconti”. Nel 2009 ha pubblicato il volume di poesia “Nel tronco incavato”. Sono del 2012 la raccolta di poesie “Geroglifico”, nonché il racconto (in collaborazione), “Colapesce”.

Altre raccolte poetiche: “Nuvole” (2013); “Tu, mio giorno e mia notte” (2014).

Il volume “Chiaramonte Gulfi – La mia diceria” è apparso nel 2014. E’ del 2015 la silloge “Almanacco”. Nello stesso anno è apparso il saggio “Andrea Camilleri, guida alla lettura”. La silloge poetica “Anima mia” è del 2016.

La casa editrice Bonanno gli ha pubblicato, nel mese di maggio 2016, il volume “Fra terra e cielo – Miscellanea di saggi brevi con Gesualdo Bufalino”. E’ del 2017 la stampa della raccolta poetica “Segni” (Urso editore, Avola). Nello stesso anno ha pubblicato i saggi: “Serafino Amabile Guastella – La vita e le opere”; “Il mito e il velo”, “Pagine esoteriche” (Bonanno editore).

 

 

Dedicati ai figli Marzio e Alessandro, questo purtroppo non più con noi, escono nel Granducato di Lussemburgo due volumi di versi di Mimmo Morina, siciliano di Villafrati, a cura della moglie Nelleke Oostveen, partner di primo piano nelle attività culturali e editoriali di cui Mimmo fu grande, instancabile ed entusiasta sostenitore, si pensi alla storica rivista letteraria “Nuova Europa” e ai Convegni Mondiali.

Significativi e intriganti, per la loro allusività e il furor polemico, i titoli: Bordereau (Il trionfo dei simulacri), Eurocratismo (Per un'Europa senza Burocrazia), 1970-1998.

Morina, deceduto nel 2005, ha lasciato migliaia di versi che certamente vedremo nei prossimi anni; ma intanto leggiamo questi, prefati da Myo Kapetanovich, che mi fu amico negli anni della mia frequentazione del Granducato, insieme a quelli che poi divennero i miei traduttori Pierre Roller e Eugène Van Itterbek, quando organizzavamo il Premio “Ragusa-Un Ponte per l'Europa” con l'intervento dell'Università Popolare di Ragusa, presieduta dal fondatore, l'Accademico Francesco Pisana, e con la collaborazione della rivista di cultura letteraria, “Cronorama”, fondata da chi scrive, diretta con Giorgio Bàrberi Squarotti e aperta alla collaborazione dei maggiori rappresentanti della Letteratura del Secondo Novecento italiano ed europeo, da Giuliano Manacorda a Jean-Paul Klée a Eugène Guillevic.

Erano anche i tempi dei Congressi Internazionali curati, con molto savoir faire, dal caro Mimmo, allora funzionario del Parlamento Europeo, del quale fu anche severo censore.

Molti di questi versi nascono infatti dalla sua posizione di censore, che ricorre allo strumento della Satira per scagliare i suoi strali contro la Burocrazia che, a suo dire, danneggia l'Europa: non per niente dei burocrati, che il Nostro definisce Eurocrati, dice: “[...]/quelli che 'Europa non la fanno //[...]”.

 

Vediamo allora cosa accadrà nel corso di questa mia lettura dei suoi versi. Cercheremo di affrontare con divertito interesse l'asprezza di questi versi di Mimmo Morina. Mi pare di ascoltarne le parole infarcite di sicilianismi, per un omaggio alla sua Sicilia, quando nella sua Lussemburgo, o a Palermo o a Firenze o a Ragusa, mi parlava con risentimento degli eurocrati e dell'eurocratismo, epperò doveva eseguire - obtorto collo - quegli adempimenti burocratici, sempre più invisi e mal tollerati, di cui, da funzionario del Parlamento Europeo, era responsabile.

Non sorprendono allora, questi due libri “arrabbiati”, i cui epigrammi hanno precisi destinatari, e Mimmo come un valente moschettiere di Kappa e spada tra un affondo e l'altro, può orchestrare a chiare lettere o per antifone una sua polemica con riferimenti o allusioni a quelli che definisce “esponenti della burocrazia dei simulacri” responsabili della politica europea. Citerei in proposito Sciacalli, Gabinettame e altri testi poetici come Smacco, Nota ad un Direttore Generale, con quell'incipit, “Mio carissimo stronzetto”, che è un vero e proprio attacco al personaggio o, se vogliamo, all'eurocrate.

Da versi così non si salva nessuno: quanto risentimento c'è dentro e rabbia quasi persecutoria. Basterà leggere del secondo volume, Il seme di Caino e L'intrigo o Ceca è la fortuna, Fame. In questi e tantissimi altri versi, Morina stempera nello sfogo la propria rabbia, come per esempio avviene nella sezione Poema per un'epopea... 1992, sorta di diario in versi tra Strasburgo e Barcellona.

Questi autorevoli -o cosiddetti tali- personaggi europei mandati alla malora lungo lo scivolo di versi insidiosi che vanno a pungere il didietro di tanti ignoti eurocrati, mal digeriti dal nostro poeta siculo europeo.

La poesia sempre accesa ed epigrammaticamente aggressiva di Mimmo Morina, qui tende a narrativizzare la sfrontatezza di situazioni politiche che non hanno sbocco, nessun avvenire, intasate come sono in un inevitabile cul de sac, in cui rischia sempre di incappare la politica europea, specie se ha da fare i conti con l'Italia.

 

Riassumendo, Morina è poeta polemista. Caustico e risentito autore pamphlétaire, alimenta la propria coscienza di cosmopolita al grottesco e al paradosso, sparando a zero sulla deludente e travagliata realtà europea. Penso ai componimenti A canne mozze, libro di feroci epigrammi sull'eurocratismo, sulla degenerazione dell'idea di Europa unita che sembra però concludersi nella crasi o contrazione di “Europa più burocrate”, al di là del significato etimologico di “eurocrate”.

“Racconto” satirico, dunque, che proprio un “eurocrate” malgré lui va scrivendo dalla sua sede lussemburghese e dalla posizione spesso scomoda di funzionario europeo, costretto a vivere il ruolo inerte di un europeista che continuerà a vagheggiare un'Europa in grado di fronteggiare il malessere degli Stati e a questi oppone il sogno della dimensione edenica di una terra -la sua Isola- amnio (Sei tu la terra, 1970; Hiera, 1980; Poîemata, 1986).

Come si vede, il suo viaggio nel mito ha come riferimento l'Ulissismo Omerico, che però non perde di vista il ritorno ai nostoi dopo il viaggio nel Mito.

 

Giovanni Occhipinti

  • Autore: Marinella Tumino

“L’urlo del Danubio”, il libro di Marinella Tumino presentato alla Biblioteca Comunale “Verga” alla presenza dei relatori e di un folto pubblico

 

Ragusa, 13 Aprile 2018 – I binari della memoria percorsi da Marinella Tumino sono reali. Non c’è frutto di fantasia nel suo ultimo lavoro editoriale se non per i racconti che accompagnano le varie  fermate della memoria storica. Sette binari, sette urli che squarciano il cielo di Auschwitz, Dachau, Trieste, Birkenau, Cracovia, Budapest. La storia scorre su questi binari. È una storia orribile, di quelle per cui si vorrebbe gridare sempre, ogni giorno per non dimenticare: ”Ne plus jamais!”. Così recita, infatti,  il monito che sovrasta il lager di Dacau. 

Un monito che viaggia sui binari e attraversa tutti i luoghi di sterminio nazista. Il dolore percorre questi binari, sia nella fedele ricostruzione storica che l’autrice fa di questo periodo buio che nei racconti annessi al capitolo di riferimento. Ma la sua ricostruzione storica è anch’essa un racconto. 

L’autrice visita questi luoghi ed è qui che prima e terza persona si mescolano. Adesso è lei il racconto, lei la protagonista. Le sue emozioni rivivono quei giorni sia nella visita della casa ad Amsterdam della piccola Anna Frank che nella sua silenziosa e composta presenza sulle sponde del Danubio dove ancora oggi centinaia di scarpette di bronzo, opera dello scultore Gyula Pauer,  stanno a ricordare lo sterminio ad opera delle Croci frecciate.

“Il Danubio che accoglie”, scrive Marinella Tumino, quasi una madre che conforta dal dolore queste povere vittime. ”Le lacrime, allora, scendono mute mentre il mormorio del fiume continua a cullare quelle voci”, scrive Marinella Tumino. È qui che si inserisce il racconto veritiero de “Il gelataio di Budapest e quello di fantasia de “L’urlo del Danubio”, ovvero la storia di Jòzsef. In quest’ultimo si fa fatica a distinguere il racconto dalla storia, poiché l’autrice coglie quelle emozioni con il suo cuore, immedesimandosi nei personaggi che la stessa descrive con accuratezza di immagini. Sono così reali le emozioni tradotte in prosa che ci si dimentica dei confini. 

“L’urlo del Danubio –ha detto l’editore Carlo Blangiforti– ha motivato l’impegno della nostra Casa Editrice che è quello della convivenza, della storia, del rispetto degli altri, della vita. È senza dubbio una testimonianza forte legata al sentimento dell’autrice. C’è anche un aspetto legato ad una interpretazione puramente di finzione: raccontare attraverso la creazione una  vicenda che ha coinvolto milioni di europei, di nostri fratelli.  C’è anche un aspetto più documentario legato alle testimonianze storiche, giornalistico, alle leggi razziali. Tutto questo materiale è entrato per volontà dell’autrice nel libro alla quale come editore abbiamo dato una mano per organizzare il lavoro. Il libro racconta quello che siamo stati e che non vorremmo mai più essere”

 

Quale la finzione e quali le fonti vere a cui Marinella ha attinto per la messa in opera di questi racconti? 

“In questo lavoro mescolo il vero con il verosimile –ha detto l’autrice– a parte le fonti storiche che sono reali. A queste fonti storiche ho incastonato dei racconti, che potremmo definirli con la memoria Manzoniana racconti storici. Una cornice storica ben definita in cui si muovono dei personaggi verosimili. 

 

“Quale binario ti ha toccata nell’anima più degli altri e perché?

“Sicuramente quello di Auschwitz –continua la Tumino– dove nel 2011 sono stata con i miei alunni per un progetto. Emozionante è poi vedere i miei ragazzi piangere all’interno del campo. Siamo stati tatuati con un marchio che ci ha toccato l’anima. Questo viaggio ci ha portato fino ai confini dell’anima. L’altro binario è stato quello dell’alloggio di Anne Frank ad Amsterdam. L’esperienza di ripercorrere i luoghi in cui ha vissuto questa ragazzina, di specchiarmi dove si specchiava lei, guardare le foto che lei personaggi famosi che lei attaccava al muro, la soffitta in cui lei ha condiviso i suoi momenti di interiorità”.

 

Danilo Amione, critico cinematografico ed insegnante, ha curato la prefazione de “L’urlo del Danubio”. 

“Sono stato felicissimo di curare la prefazione del libro di Marinella Tumino –ha detto Danilo– Ho apprezzato la sua  capacità di universalizzare la paura, lo ha fatto in un modo composito. Ha messo in scena  tutte quelle sfaccettature che solamente una donna avrebbe potuto mettere in campo: l’essere donna, l’essere una madre, l’essere una figlia. Non è cosa facile perché si tratta di un esercizio plurale di sentimenti. Mettere in scena la figlia significa mettere in scena la memoria di se stessa oggi madre mentre guarda i suoi figli. Questo è stato l’elemento base che ha veicolato in lei la capacità di mettere giù uno scritto che diventa la testimonianza di un elemento personale.  In lei c’è stato un sentimento. In lei c’è stata la capacità di fotografare un sentimento che è stato quasi alterato dalla storia ma che lei rimette al posto suo. Rimettere un personaggio li dove era stato da piccolo significa riattivare un’umanità che era stata persa per sempre. Si è staccata dai fatti e vi è entrata in maniera molto ampia. E questo può essere fatto solo da una donna”. 

È stato notato come nel racconto “Oltre il filo spinato”  emerge un fiore nel deserto dell’orrore, ovvero “l'Amore” che è una costante dei racconti di Marinella ( vedi “Frammenti d’anima”, “Trame d’inchiostro”). E come ha affermato l’autrice,  parlare di Shoah, di cui Auschwitz ne è l’emblema, sembra quasi che parlare d’amore in questo contesto sia come profanare l’orrore. Ma qui non occorreva ricordare l’orrore ma denunciarlo con i propri sentimenti.

 

In questi luoghi che Marinella percorre nel suo libro emerge un viaggio fisico e viaggio interiore, ovvero “brividi di freddo”, per le basse temperature,  e “brividi di rabbia”. I media ci riportano immagini di grande freddo e rabbia anche oggi in altri luoghi martoriati in cui sono soprattutto i bambini ad avere la peggio: pensiamo alla guerra in Siria, nello Yemen,  nella Striscia di Gaza e in altri posti devastati dalle bombe. È la storia che si ripete ? Cosa hanno dimenticato gli uomini per continuare a farsi guerra?

“Devo dire che la storia –ha concluso la scrittrice– è maestra che insegna, ma noi che siamo gli alunni dimentichiamo perché siamo assetati di potere, perché vogliamo l’egemonia su un altro Paese e altro ancora. È questo è il motivo per cui ricordare e far ricordare e non solo il 27 gennaio in occasione della Giornata della Memoria, è importante!

Di grande impatto sono state le letture di alcuni brani da parte dell’attrice Giada Ruggeri. Un tocco di professionalità non indifferente che ha ulteriormente emozionato il folto pubblico in sala.

 

Giovannella Galliano

Ragusa, 19 marzo 2018 – Giovedì 22 marzo 2018, alle ore 17.00, presso il Centro Studi Feliciano Rossitto di Ragusa (via Ettore Majorana 5), presentazione del volume “Da Camarina a Caucana. Ricerche di archeologia siciliana”, di Paola Pelagatti, pubblicato per i tipi di Gangemi editore. 

Questa raccolta di scritti su scavi e ricerche a Camarina, Santa Croce Camerina-Punta Secca, nelle necropoli sicule di Castiglione e Monte Casasia dell'entroterra e in altri siti del ragusano, consiste in una riedizione di contributi pubblicati in numerose sedi, dal Bollettino d'Arte del Ministero dei Beni Culturali, all'Istituto Italiano di Numismatica, a Kokalos (Istituto di Storia Antica, Università di Palermo), all'Archivio Storico Siracusano, e ad altre riviste, nell'arco degli anni della permanenza dell'Autrice a Siracusa, nella Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale.

La riedizione è arricchita da testi inediti, integrazioni e appendici frutto di nuovi dati e della continua attività di ricerca in ambito archeologico. 

Introduce Giorgio Chessari, presidente del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa . Saluti dei Presidenti e del Sindaco di Ragusa, Federico Piccitto.

Interventi di Giovanni Di Stefano (Museo di Camarina, Università della Calabria), Massimo Frasca (Università di Catania)Giuseppe Voza (Soprintendente Emerito di Siracusa).

La professoressa Paola Pelagatti (Accademia Nazionale dei Lincei) concluderà i lavori.

Sarà presente l’Editore Gangemi.

 

L’iniziativa è resa possibile grazie alla sinergica collaborazione di Centro Studi “F. Rossitto”, Comune di Ragusa, Archeoclub d’Italia-sez. Ragusa, Associazione Culturale “Genius”.

Giuseppe Nativo

Sottocategorie

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry