Dedicati ai figli Marzio e Alessandro, questo purtroppo non più con noi, escono nel Granducato di Lussemburgo due volumi di versi di Mimmo Morina, siciliano di Villafrati, a cura della moglie Nelleke Oostveen, partner di primo piano nelle attività culturali e editoriali di cui Mimmo fu grande, instancabile ed entusiasta sostenitore, si pensi alla storica rivista letteraria “Nuova Europa” e ai Convegni Mondiali.
Significativi e intriganti, per la loro allusività e il furor polemico, i titoli: Bordereau (Il trionfo dei simulacri), Eurocratismo (Per un'Europa senza Burocrazia), 1970-1998.
Morina, deceduto nel 2005, ha lasciato migliaia di versi che certamente vedremo nei prossimi anni; ma intanto leggiamo questi, prefati da Myo Kapetanovich, che mi fu amico negli anni della mia frequentazione del Granducato, insieme a quelli che poi divennero i miei traduttori Pierre Roller e Eugène Van Itterbek, quando organizzavamo il Premio “Ragusa-Un Ponte per l'Europa” con l'intervento dell'Università Popolare di Ragusa, presieduta dal fondatore, l'Accademico Francesco Pisana, e con la collaborazione della rivista di cultura letteraria, “Cronorama”, fondata da chi scrive, diretta con Giorgio Bàrberi Squarotti e aperta alla collaborazione dei maggiori rappresentanti della Letteratura del Secondo Novecento italiano ed europeo, da Giuliano Manacorda a Jean-Paul Klée a Eugène Guillevic.
Erano anche i tempi dei Congressi Internazionali curati, con molto savoir faire, dal caro Mimmo, allora funzionario del Parlamento Europeo, del quale fu anche severo censore.
Molti di questi versi nascono infatti dalla sua posizione di censore, che ricorre allo strumento della Satira per scagliare i suoi strali contro la Burocrazia che, a suo dire, danneggia l'Europa: non per niente dei burocrati, che il Nostro definisce Eurocrati, dice: “[...]/quelli che 'Europa non la fanno //[...]”.
Vediamo allora cosa accadrà nel corso di questa mia lettura dei suoi versi. Cercheremo di affrontare con divertito interesse l'asprezza di questi versi di Mimmo Morina. Mi pare di ascoltarne le parole infarcite di sicilianismi, per un omaggio alla sua Sicilia, quando nella sua Lussemburgo, o a Palermo o a Firenze o a Ragusa, mi parlava con risentimento degli eurocrati e dell'eurocratismo, epperò doveva eseguire - obtorto collo - quegli adempimenti burocratici, sempre più invisi e mal tollerati, di cui, da funzionario del Parlamento Europeo, era responsabile.
Non sorprendono allora, questi due libri “arrabbiati”, i cui epigrammi hanno precisi destinatari, e Mimmo come un valente moschettiere di Kappa e spada tra un affondo e l'altro, può orchestrare a chiare lettere o per antifone una sua polemica con riferimenti o allusioni a quelli che definisce “esponenti della burocrazia dei simulacri” responsabili della politica europea. Citerei in proposito Sciacalli, Gabinettame e altri testi poetici come Smacco, Nota ad un Direttore Generale, con quell'incipit, “Mio carissimo stronzetto”, che è un vero e proprio attacco al personaggio o, se vogliamo, all'eurocrate.
Da versi così non si salva nessuno: quanto risentimento c'è dentro e rabbia quasi persecutoria. Basterà leggere del secondo volume, Il seme di Caino e L'intrigo o Ceca è la fortuna, Fame. In questi e tantissimi altri versi, Morina stempera nello sfogo la propria rabbia, come per esempio avviene nella sezione Poema per un'epopea... 1992, sorta di diario in versi tra Strasburgo e Barcellona.
Questi autorevoli -o cosiddetti tali- personaggi europei mandati alla malora lungo lo scivolo di versi insidiosi che vanno a pungere il didietro di tanti ignoti eurocrati, mal digeriti dal nostro poeta siculo europeo.
La poesia sempre accesa ed epigrammaticamente aggressiva di Mimmo Morina, qui tende a narrativizzare la sfrontatezza di situazioni politiche che non hanno sbocco, nessun avvenire, intasate come sono in un inevitabile cul de sac, in cui rischia sempre di incappare la politica europea, specie se ha da fare i conti con l'Italia.
Riassumendo, Morina è poeta polemista. Caustico e risentito autore pamphlétaire, alimenta la propria coscienza di cosmopolita al grottesco e al paradosso, sparando a zero sulla deludente e travagliata realtà europea. Penso ai componimenti A canne mozze, libro di feroci epigrammi sull'eurocratismo, sulla degenerazione dell'idea di Europa unita che sembra però concludersi nella crasi o contrazione di “Europa più burocrate”, al di là del significato etimologico di “eurocrate”.
“Racconto” satirico, dunque, che proprio un “eurocrate” malgré lui va scrivendo dalla sua sede lussemburghese e dalla posizione spesso scomoda di funzionario europeo, costretto a vivere il ruolo inerte di un europeista che continuerà a vagheggiare un'Europa in grado di fronteggiare il malessere degli Stati e a questi oppone il sogno della dimensione edenica di una terra -la sua Isola- amnio (Sei tu la terra, 1970; Hiera, 1980; Poîemata, 1986).
Come si vede, il suo viaggio nel mito ha come riferimento l'Ulissismo Omerico, che però non perde di vista il ritorno ai nostoi dopo il viaggio nel Mito.
Giovanni Occhipinti