Cultura
Typography
  • Smaller Small Medium Big Bigger
  • Default Helvetica Segoe Georgia Times

L'immagine come pensiero? il pensiero dell'immagine? La visione oltre l'immagine (edizioni Feeria, Comunità di San Leolino, 2014) di Giovanni Meucci ovvero una riflessione su L'estetica cinematografica di Gilles Deleuze è certamente studio di grande interesse e profondità. Esso affonda le proprie radici nella storia dei tempi dell'uomo, a partire dalle immagini del Paleolitico e cioè dall'uomo di Cro-Magnon. E aggiungerei ancora: è uno studio di ampia e complessa tessitura, lavorata su una ricerca minuziosa e assidua, ma anche appassionata, e su un attento e ricco attingimento da fonti altamente qualificate, sulle quali non solo si è “costruita” la storia del pensiero, ma anche la storia dell'immagine che corre lungo i canali della civiltà dell'uomo. E ciò perché un'immagine-oltre non è che lo specchio del pensiero che si fa pensiero tout-court, laddove è leggibile la storia come destino dell'uomo e cioè come avventura, in senso etimologico, e dunque futuro, il “luogo del pensiero” nel quale prende forma e si concretizza l'Avvenire e il divenire della Storia. Ed è quando il momento di sintesi spiritualità-Storia coincide con la realtà dell'uomo e con la sua cultura.

La fine dell'immagine ne sarebbe certamente lo spegnimento: l'occhio si chiuderebbe all'intelligenza dello Sguardo soggiacendo all'ottundimento del pensiero percettivo, quello che elabora, nel senso di intelligere, i concetti di conoscenza. 

Dicevamo dell'immagine oltre l'immagine, quella che si fa pensiero e creazione, ma anche oggettivazione della realtà interiore dell'uomo e motivo di speculazione filosofica da cui origina un processo gnoseologico, come, per esempio, in quella macchina scenica che è il “mito della caverna” di Platone (La Repubblica, libro VII) secondo il quale - riporta Giovanni Meucci - “Il culto greco dei misteri, praticato all'origine nella caverna, si accompagnava a rappresentazioni di ombre [...]”. Un “teatro d'ombre”, dunque, all'origine del cinematografo? Il quesito verrà chiarito da studiosi, che fugheranno nel tempo ogni dubbio, grazie al contributo dato dalle loro opere sulla genesi e il divenire del Cinema tra illusione e realtà. 

Di grande interesse l'excursus dell'autore su come l'estetica cinematografica diviene filosofia del cinema, nel cui ambito prende forma l'arte, nel senso della poetica e, come ricorda Meucci riferendosi a S. M. Ejzenstein, di progetto estetico. E' a questo punto che entrano in gioco W. Benjamin e G. Deleuze, ma anche Murnon, Lang, Keaton, con Truffaut e Godard. 

O quando Meucci interroga, molto opportunamente, Aristotele per dirci attraverso la Poetica la differenza tra l'Universale (la poiesis) e il particolare (la Storia). Dunque, poiesis e mimesis (cinema), nel loro insieme, e per la somma delle loro immagini, generano pensieri filosofici e stimolano il desiderio di conoscenza. Dal cinema alla filosofia, secondo U. Curi, il passo è breve: anzi, il cinema è filosofia, se è vero che in esso si conciliano forma e contenuto. Sia chiara una cosa: il libro mette in rilievo la capacità, lucida e tenace, di Giovanni Meucci, (lo evidenzia bene Carmelo Mezzasalma nel suo saggio introduttivo all'opera) il quale ha voluto e saputo dare un contributo notevole, che certamente resterà nella storia del Cinema, al ricco mosaico nel quale egli può abilmente concepire la visione su L'estetica cinematografica di Gilles Deleuze, per un ulteriore contributo alla cultura francese e alla cultura tout-court. Il libro è straricco di fonti, che nella storia e nella letteratura del Cinema resterà a segnarne la profondità di riflessione di Deleuze su questo strumento ideologico, che è anche congegno cinematografico, congegno di pensiero e dunque congegno filosofico e artistico. Ma è ancora di più: è memoria del tempo (quasi semiotica dei segni dei tempi) e dunque storia e civiltà e sociologia della storia e della civiltà, ma anche filosofia dell'essere e dell'esistere. 

Qual è il rapporto tra la nostra mente e lo schermo? La mente è il laboratorio da cui lo schermo attinge e trasmette, comunicando e ponendo problematiche che, se per un verso coinvolgono il pensiero creativo, per l'altro si appigliano al pensiero filosofico o lo determinano, là dove, particolarmente quest'ultimo, ricorre alla condizione socio-esistenziale dell'uomo e quindi alle azioni e alle istanze sociologiche del tessuto umano.

Se l'estetica di Gilles Deleuze è propedeutica all'etica del Cinema, allora il Cinema è il “luogo” di una filosofia nuova della vita che, per contrasto, determina un processo di svecchiamento del concetto di esistenza che, pertanto, si apre a un nuovo concetto di futuro: il futuro nella fede! Mi pare che riflettere su questo, con l'aiuto e tra le pieghe della riflessione di Giovanni Meucci, (uomo di grande fede) voglia dire, ancora una volta, che anche la fede ha ragione di essere in questo “luogo” multiforme camaleontico intrigante rivelatore, che svela noi a noi stessi di fronte al mistero dell'essere e dunque della verità, anche questa una visione oltre l'immagine

Tra le righe di questo libro profondo e molto ben congegnato di Giovanni (ne apprezziamo molto la sapienza della struttura assolutamente funzionale alla ricchezza dei concetti e dei teoremi che supportano il saggio), c'è una visione grandiosa che non può sfuggire alla condizione umana bollata da certi interventi (oserei definirli “metafisici”) della sofferenza, che dischiude gli occhi della mente e li rivolge al di là di ogni assillo connaturato all'esistenza, forse al mistero di una trascendenza che via via ci cattura nel dolore per restituirci a Dio, finalmente nella compiutezza di creature umane sofferte. La sublimazione dell'uomo nella sofferenza? Anche questo ci sembra di leggere nella pagine di Meucci. E' per questo che gli appartengono come mai accade ad altri autori. Attraverso i meccanismi del Cinema egli ha potuto far dono, al lettore, della ricchezza straordinaria del suo mondo interiore. 

 

E per avviarci alla conclusione, e tornando a Deleuze, “[…] più importante del pensiero - egli dice in Proust e i segni -  è 'ce qui donne à penser'”, ciò che dà a pensare, che induce il pensiero. Ebbene, sì. Tutto ciò ha però il fascino sapienziale dell'aforisma che in poche battute trasmette grandi verità, anche quando ci si chiede se è verità ciò che è viziato dalla contraddizione o, come in questo caso, dall'ambivalenza semantica: 'ce qui donne à penser', - ciò che fa pensare - è già pensiero esso stesso, è già contenuto problematico o non farebbe pensare un bel niente! Le battute aforistiche nascondono di questi inganni, come un vizio genetico che compromette la genesi di un messaggio, di un concetto, di una verità mascherata da un principio tautologico. E dunque, sarei tentato di contestarla questa definizione deleuziana. Ma anche contestare equivale a pensare, è dunque un pensiero con una sua ben precisa verità. A ciò conduce la filosofia del Cinema, quando esso è pensiero e verità di pensiero. 

Ce qui donne à penser potrebbe essere il nucleo, la sintesi di questo intenso messaggio di Giovanni, ma nello stesso tempo un intreccio di verità che racchiude la filosofia sulle verità del Cinema e dell'uomo.

 

Giovanni Occhipinti

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.