Fonte Aretusa (ph Biancavela Press / salvomic)

Cultura
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  • Argomento: Storia

Sulle tracce del Mito, nella Sicilia greca.

 

Aci e Galatea

Nasce in Sicilia, lungo la costa ionica da cui si mostra il maestoso Etna, il mito dell’amore eterno. È la leggenda di Aci e Galatea a suggellarlo con la vittoria del bene sul male. La narrazione è drammatica, ma per volere degli antichi dei ha un epilogo da sogno.

Un accenno si trova nelle Metamorfosi di Ovidio (XIII 750).

Giosuè Carducci ne rimase suggestionato (in “Primavere elleniche”, “Il Dorica”, in “Rime Nuove”): «Sai tu l’isola bella, a cui le rive / manda il Ionio i fragranti ultimi baci, / nel cui sereno mar Galatea vive / e su’ monti Aci? ... ».

Tre i personaggi della narrazione così costruita in seguito dal popolo: il gigante Polifemo, dotato di un solo occhio in mezzo alla fronte e accecato da Ulisse; la ninfa marina Galatea che vive nelle acque; Aci, il pastorello, di cui lei è innamorata.

Galatea non gradisce il corteggiamento del gigante. Si prende gioco di lui e prova disgusto per             l’orrendo aspetto. Lo scoraggia, parlandogli del sentimento amoroso per Aci. Questi insiste malgrado ogni rifiuto e, invaso dalla follia, sradica alberi e sgretola colline con forza brutale. Poi, la vendetta.

 Lancia un masso contro Aci che rimane schiacciato. Il pianto disperato di Galatea è accolto dall’Olimpo: dal gigantesco macigno scaturisce una sorgente, e l’acqua cristallina si va a gettare in mare dove Aci e Galatea tornano ad abbracciarsi per non separarsi più.

La leggenda, col nome “L’amore Galatea” su libretto di Salvatore Quasimodo, è stata messa in musica da Michele Izzi (Agrigento 5 settembre 1915-Messina 31 marzo 1972)[1] e rappresentata dopo la sua morte al Teatro greco di Siracusa. Ha scritto in merito Rita Capodicasa: «Entrambi avevano mutuato dalla propria terra l’amore per il mito greco, specie quello che popolava l’immaginario scenografico siciliano immerso tra i meandri delle caverne di Polifemo, con la brutalità bestiale, la bellezza di Galatea esaltata dal coro delle ninfe e il pastore Aci fra la natura ai piedi dell’Etna. Il problema del rapporto tra musica e libretto nell’opera lirica si presenta in modo più pressante ne L’Amore di Galatea, anche per la presenza del bellissimo libretto di Quasimodo, essenziale, giocato sulla purezza della Parola, evocatrice di atmosfere poetiche. La musica di Lizzi non voleva distruggere quel valore della Parola, ma voleva potenziarlo»[2].

La memoria collettiva non si disperde, viene tramandata non solamente dalla leggenda. Molti paesi del territorio di Catania presero nome da Aci: Aci Castello, Aci Trezza, Aci Catena, Aci Bonaccorsi, Aci Sant’Antonio, Aci San Filippo, Aci Platani e Acireale, dove esiste una via dedicata a Galatea. Nella villa comunale "Belvedere" di Acireale si può ammirare al di sopra di una vasca copia un gruppo marmoreo che rappresenta Galatea nell’atto di invocare gli dèi.

 

Il mito di Trezza

Ciuffi di ginestre alle lave:

bella è Trezza quando adagia

il volto sul respiro del mare

e la luna si alza leggera

sui faraglioni, sosta dei gabbiani.

Tra il nero delle sabbie

profuma d’alghe l’aria.

E il mito narra prodigi.

Un volto affiora... sembra

vedersi nel più dolce dei miraggi:

Aci, il pastore, vibra gioioso

le canne della zampogna

e il desiderio sconfina

nelle flessuose forme di Galatea,

bella tra le belle ninfe.

Gioiosa l’unione che sento

nel gorgoglio delle acque:

ridisegna il cerchio della vita

che mai finisce di stupirmi

mentre lo sguardo torna

a posarsi sui faraglioni

custodi dell’audacia d’Ulisse.

La magia mi avvolge,

altrove mi conduce.

 

 

Aretusa

 Non meno suggestiva la leggenda che narra la storia d'amore, i cui protagonisti sono Alfeo, un giovane pastore dell’Elide, e la bella Aretusa, entrambi originari dell'Ellade.

Ne parla Ovidio nelle Metamorfosi (1.5, vv. 577-641) e la raffigura il “Decadramma” di “Eveneto” del 355 ca. a.C. (Milano, Museo Brera).

 Aretusa, ninfa dei boschi, si dà alla castità in nome della purezza e della libertà. Per sfuggire ad Alfeo, un giovane pastore del luogo, che l'ama e la insegue fino a ghermirla, per essere salvata invoca Artemide, dea della caccia e dei boschi, con parole vibranti di pathos ed è mutata in fiume.

  Sottoterra attraversa il mare Ionio e sfocia in un angolo della bella isoletta di Ortigia, a Siracusa, tornando a rivedere la luce del sole.

  L'amore, si sa, non conosce rinunce. Alfeo, pastore e custode di un laghetto, chiede agli dèi la stessa sorte, essendosi invaghito di lei. Gli dèi esaudiscono le preghiere, non restano indifferenti ai sentimenti. Sicché, dall'Ellade, diventato acqua fuggente, viene a sgorgare nello stesso luogo. Sono dunque le acque dolci ad unire, a far compiere il sogno d'amore.

Dice Virgilio: «...a quest’isola è fama / che per vie sotto al mare il greco Alfeo / viene da Doride intatto, in fin d’Arcadia / per bocca d’Aretusa a mescolarsi / con l’onde di Sicilia»[3].

 Incantevole a vedersi dall’alto la fonte di Aretusa, in cui crescono i papiri, che si affaccia al mare che venne solcato dagli antichi coloni greci. Vi si respira un'atmosfera fuori del tempo e viene da pensare ad un Kamasutra spiritualizzato: la fonte è il cosmo nel cosmo, ha l'intimità del mondo liquido al di là di ciò che è precario.

Federico Guastella

 

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[1] Conseguito il diploma di Ragioniere, frequenta il Conservatorio di Santa Cecilia, a Roma, dove seguì gli insegnamenti dei maestri Mario Pilati, Tito Aprea e Ildebrando Pizzetti. Docente negli Istituti superiori e vicedirettore del Conservatorio di San Pietro in Maiella in Napoli, tra le varie composizioni, se ne ricordano tre: “Pantea”, “L’amore di Galatea” e “La Sagra del Signore della Nave”. L’Amore di Galatea fu rappresentato tre volte con successo: a Palermo nel 1964; al Bellini di Catania nel 1968; dopo la sua morte, al teatro greco di Siracusa nel 1979, diretta dal Maestro Ottavio Ziino.

[2] R. Capodicasa, La Sagra del Signore della Nave, da Luigi Pirandello a Michele Lizzi. Dalla novella all’atto unico, all’Opera lirica, Edizioni Sinestesie, Avellino, 2020.

[3] Virgilio, Eneide, 1.3 vv. 1095-1099, traduzione di Annibal Caro.

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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