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  • Rubrica: Spigolando

Ragusa, 8 luglio 2021 — Queste foto le ho scattate da una strada che si affaccia su un cantiere edile; uno dei tanti, tantissimi della periferia della città di Ragusa. Si tratta di distese spianate dai Caterpillar: sterro, scavi, pietrame accumulato in attesa (che sarà brevissima) di impiantare le fondazioni in cemento armato e poi, su queste, la palazzina di sei piani e garage o il centro commerciale di turno.

 

Però c’è un particolare che vi prego voler meglio focalizzare. È quella macchia bianca nell’angolo in basso a destra della foto e poi riprodotto in un ingrandimento. Rappresenta quanto rimane di un tronco d’albero.

Era un esemplare di Celtis Australis. Noi lo chiamiamo milicuccu (gli italiani bagolaro o anche spaccasassi).

Era; perché, evidentemente, è morto. È spezzato, strappato, disintegrato quasi da un colpo di pala di ruspa. A chiunque, anche ad un ritardato come me, appare chiaro che le esigenze edilizie, un cantiere aperto che costa ogni giorno migliaia di euro, la fretta di costruire e poi vendere gli alloggi, non permette di rispettare, salvare un albero, quale esso sia: l’umile milicuccu o la modaiola magnolia. È comprensibile.

Però, a ben guardare la foto, e soprattutto dopo aver camminato tutto intorno all’ex albero frondoso e a quanto ne è rimasto, mi sono convito – pronto sempre ad essere smentito – che quell’albero era fuori dal perimetro del cantiere. Ne era talmente ai margini che la stradella provvisoria (si riconosce perché fatta di un bianco calcare sminuzzato) utilizzata per i mezzi del cantiere è ad almeno quattro metri dal tronco.

Io credo – e ribadisco la disponibilità al confronto e alla eventuale smentita – che quell’albero sarebbe potuto rimanere dov’era senza intralcio alcuno. Anzi, una volta completata la costruzione sarebbe stato un bel punto verde, una macchia di colore, una area ombrosa. E invece ho come l’impressione che quel colpo di pala di ruspa sia stato assestato così, inutilmente; gli antichi avrebbero detto «ppi sfizziu».

Chissà poi perché…

Forse perché gli alberi, senza i quali noi tutti moriremmo anche nel “post Covid”, sono fastidiosi agli occhi di alcuni, che preferiscono nettamente il solido cemento, il nerbuto tondino di ferro all’irregolare geometria di una corteccia, al fastidio enorme del dover raccogliere le foglie secche da novembre e per un paio di mesi, alla possibilità che tra i rami facciano il nido rumorosi merli o fastidiose carcarazze.

Pazienza. Ma intanto ripasso da quel cantiere perché – guardate bene la foto – non distante da questo tronco spappolato ci sono almeno altri dieci alberi di grande taglia. Nell’eventualità il Caterpillar dovesse dedicarsi ad essi, state tranquilli, non mi sacrificherò. Al massimo farò altre foto, ad usum naturae amantis.

 

Saro Distefano

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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