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  • Argomento: Numismatica

Esistono i rebus che si trovano sulle pubblicazioni specializzate nel settore dell’enigmistica. Sembrano irrisolvibili ma con un pochino di buona volontà e dimestichezza si arriva, non di rado, alla soluzione. Ma le cose, ovviamente, non sono mai così semplici in quanto esistono anche quelli che si potrebbero definire “rebus monetali”.

La parola “rebus” è anche metafora di una situazione intricata e, talora, di difficile interpretazione. Anche nell’ambito della numismatica, ovvero lo studio della moneta e della sua storia, si presentano agli studiosi dei veri e propri rompicapi.

Perché accade tutto ciò? «Abbiamo composizioni monetali che – risponde Stefania Santangelo (numismatica, CNR IBAM Catania) - a causa dell’incompletezza delle nostre conoscenze diventano rebus molto difficili se non impossibili da risolvere».

 

Vi sono rebus monetali che riguardano la Sicilia antica?

«Non mancano certamente quelli relativi alla Sicilia greca. Si tratta di veri e propri rompicapi numismatici, ovvero soggetti monetali che ancora non riusciamo bene ad interpretare».

La moneta è ed è sempre stata principalmente un mezzo di scambio oltreché strumento economico di ricchezza, ma va ricordato che nell’antichità rappresentò qualcosa di più, poiché fu anche un efficace strumento di comunicazione. Una sorta di “social medium”, utile a traslare da una parte all’altra del mondo non solo il proprio potere economico, ma anche un insieme di informazioni di tipo più ampio, secondo un meccanismo che oggi potrebbe essere definito di “visual communication”. Destinati infatti ad apparire in un documento ufficiale, i temi impressi nel tondello di metallo furono frutto di attenta elaborazione e di scelte perseguite coscientemente da parte dell’autorità di riferimento che, al contempo, ne garantiva il potere d’acquisto. In breve, le iconografie monetali furono espressione delle ideologie e del patrimonio culturale e non è difficile comprenderne il motivo. La moneta, infatti, piccolo e maneggevole oggetto, circolando, passando di mano in mano, oltrepassava i confini della città e dello Stato che l’aveva prodotta portandone con sé e veicolandone messaggi: prodotti tipici, divinità onorate, culti, alleanze o sudditanze politiche, celebrazioni di vittorie negli agoni e poi, come accadrà nel periodo romano, mode ed elementi di vera e propria propaganda politica. Forse riesce difficile oggi capire appieno le caratteristiche intrinseche della monetazione antica, abituati come siamo a maneggiare il denaro svogliatamente e distrattamente con un interesse che non va oltre la lettura del valore nominale, mentre i messaggi di tipo sociale, politico, culturale ci raggiungono attraverso altri canali.

«Tuttavia – spiega la dottoressa Santangelo - l’accesso ai messaggi che la moneta voleva trasmettere nell’epoca in cui vennero formulati non è sempre immediato da parte di noi moderni, poiché spesso non siamo in possesso di tutti gli strumenti utili a decodificare e leggere con la corretta lente quella che può apparire una semplice immagine. Si dice che gli studiosi che ‘concordano’ nella descrizione delle immagini monetali, ‘divergano’ spesso nell’interpretazione del loro significato ed infatti non è insolito imbattersi in iconografie monetali a cui non sappiamo dare una lettura convincente e unanimemente accettata». 

Qualche esempio?

«Sfugge agli studiosi moderni il vero motivo per cui si trova un gallo nella monetazione di Imera a partire dalla fine del VI a.C. Per alcuni si tratta dell’emblema ‘parlante’ della città poiché il gallo è l’araldo della vittoria della luce del giorno – hēméra - sulle tenebre. Ma il gallo è anche animale sacro a molte divinità tra cui Asclepio che in quanto medico deve essere costantemente vigile e sollecito, come appunto è noto il gallo sia. Socrate, nel finale del trattato sull’immortalità dell’anima (Fedone) di Platone, dopo aver bevuto la cicuta invita i suoi discepoli a sacrificare un gallo ad Asclepio in segno di riconoscenza per l’ottenuta guarigione dagli affanni della vita. Il gallo è dunque legato ai riti di passaggio della vita dell’uomo (matrimonio, nascita, morte); è, d’altra parte, emblema di coraggio e di forza in battaglia, rappresenta la vigilanza, ed il suo canto annuncia l’arrivo del giorno, la rinascita».

E quindi?

«Come si vede, tante ipotesi ma nessuna certezza. Uguale tentativo di “disanimalizzare” l’animale impresso su un tondello, è stato fatto per un’altra importante monetazione della Sicilia greca, quella di Agrigento. La tipologia si presenta, fin dall’inizio, assai costante: il granchio, in coppia nell’altro verso con un’aquila (inequivocabilmente legata a Zeus), può essere allusivo al fiume al mare o ad una divinità locale, essere l’emblema parlante della città oppure ispirato da Kos, l’isola greca da cui partì un gruppo di coloni per raggiungere la città siceliota (le monete di Kos recano infatti l’immagine del granchio). Il crostaceo, per via delle zampe a tenaglia, si potrebbe ricollegare anche all’arte di forgiare il metallo e quindi al dio Efesto/Vulcano». 

Ed ancora, un altro bel rebus fra i sémata (così vengono chiamati i tipi monetali) impressi nelle monete della Sicilia greca è la figura mostruosa che campeggia sul dritto di alcune piccole frazioni d’argento di Imera (V sec. a.C.).

«È così. La moneta raffigura la parte anteriore di un mostro alato dal volto umano, un lungo corno caprino, mentre testa e zampe leonine gli sporgono dal petto. Si trova accoppiato ad una figura bacchica che cavalca un caprone. Non è facile comprendere il significato di queste immagini, ma è evidente che si tratta della rappresentazione di momenti legati ad un culto locale (presso la città si trovavano infatti famose sorgenti termali che secondo il mito sarebbero state fatte sgorgare in onore di Eracle dalla Ninfa eponima Imera) di cui ignoriamo i particolari».  

Questi sono alcuni degli esempi più eclatanti di rompicapi o rebus numismatici, e tanti altri ancora possono essere citati. È per questo, forse, che la storia e le scienze storiche come la numismatica non perdono mai il loro fascino e continuano ad attrarre.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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